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bocca-giorgio-web3di AMDuemila - 27 dicembre 2011
Se ne è andato il giorno di Natale uno dei più grandi protagonisti del giornalismo italiano. Giorgio Bocca è scomparso all’età di 91 anni domenica 25 dicembre. Nato a Cuneo il 28 agosto 1920 iniziò a scrivere per il settimanale cuneese La Provincia Grande. Dopo la seconda guerra mondiale che lo vide attivo come partigiano scrisse per il giornale GL e successivamente per la Gazzetta del Popolo, per l'Europeo e per Il Giorno. Nel 1976 fu tra i fondatori del quotidiano la Repubblica, con cui ha sempre continuato a collaborare, così come con il settimanale l’Espresso. Tante le inchieste condotte con passione civile e spirito di servizio nei confronti del suo unico padrone: il lettore.

Sua è anche l’intervista al generale Carlo Alberto dalla Chiesa realizzata pochi giorni prima che quest’ultimo venisse ammazzato dalla mafia insieme a sua moglie e all’agente di scorta il 3 settembre 1982. Nella sua cinquantennale carriera numerosi sono i libri che ha scritto: attualità, politica, impegno civile, approfondimento storico, con un filo invisibile sempre legato alla sua esperienza di partigiano. Tra le pubblicazioni più recenti: Piccolo Cesare (dedicato al fenomeno Berlusconi, 2002); Le mie montagne (2006); E' la stampa, bellezza (2008). Annus Horribilis (2010). Fratelli Coltelli 1948-2010 L'Italia che ho Conosciuto, (2010). Tra i riconoscimenti ricevuti va ricordato che nell'aprile 2008 Bocca ha vinto il premio Ilaria Alpi alla carriera.  In omaggio a un grande maestro del giornalismo italiano riproponiamo l’intervista realizzata dal nostro direttore nel 2002. L’attualità del pensiero di Bocca è uno sprone a continuare ad impegnarci giorno dopo giorno a costruire una società più giusta.
A futura memoria.

La Redazione di ANTIMAFIADuemila

Intervista esclusiva a Giorgio Bocca, maestro del giornalismo italiano
di Giorgio Bongiovanni

Milano, 11 gennaio 2002.
L’atmosfera è quella tipica del capoluogo lombardo. Strade frenetiche e gioiose vetrine sfrecciano dal finestrino del taxi avvolte nell’inevitabile velo di nebbia sottile. Una mezz’oretta di viaggio e l’auto si ferma in una zona residenziale, scendo, il freddo penetrante quasi mi sorprende togliendomi, per un attimo, il respiro. Mi guardo intorno alla ricerca di un punto di riferimento; lo trovo nell’ultimo tratto di una viuzza privata. Suono il campanello e qualche istante dopo sono in compagnia di uno dei grandi maestri del giornalismo italiano. Ci accomodiamo uno di fronte all’altro, in un ampio salone, separati da una scrivania sulla quale libri, riviste e appunti si contendono lo spazio con due computer e un telefono da tavolo. Giorgio Bocca parla lentamente, in ogni sua risposta è racchiuso lo spirito di resistenza che lo contraddistingue, messo a dura prova dall’attuale situazione politica ma pur sempre presente.

Maestro, stiamo attraversando un momento tragico.
Questa guerra è di un orrore indicibile e lo dimostrano le ultime notizie riguardanti il trasporto dei prigionieri a Guantanamo: incappucciati, imbavagliati, cacciati in gabbie di ferro in un clima tropicale. Ciò non accadeva nemmeno negli anni del nazismo durante i quali la Wehrmacht, che non era una istituzione di partito, ci teneva a che venisse rispettata la legge internazionale sui prigionieri di guerra. E questo anche nell’interesse dei tedeschi caduti nelle mani degli americani, che non rischiavano, così, di finire dentro le gabbie.

Lei ha visto gli orrori di quegli anni, li conosce, ne ha scritto. Se, per assurdo, avesse la possibilità di ritornare indietro nel tempo, la sua visione del mondo in quell’epoca sarebbe più o meno pessimistica di quanto non lo è oggi.
Sono più pessimista oggi. A quell’epoca, nessuno di noi sperava che potessero essere estirpate dal mondo le dittature e quando ciò accadde credemmo che fosse iniziata una nuova epoca. Oggi, invece, con questa visione economicistica del mondo si apre un periodo peggiore perché, tutto sommato, quelle grandi dittature nonostante fossero ferocissime, nascevano da ideali di progresso. L’Unione Sovietica si batteva per creare una società senza sfruttamento, altri partivano dall’idea di ricreare una società di tipo medievale. C’erano, insomma, dei concetti che superavano il denaro. Oggi c’è il denaro e nient’altro.

Ma l’uomo, oggi, rincorre il denaro o il potere?
Rincorre il sistema del profitto che, secondo me, è un sistema diabolico e autolesionista. Ogni giorno le notizie sull’inquinamento sono sempre più preoccupanti, ma tutti violano le leggi che potrebbero risollevare questa situazione. Quelle leggi che pretendono di mascherare il fatto che l’inquinamento è in continuo aumento. E, credo, si andrà avanti così fino a che non accadranno catastrofi di portata mondiale.

Rinascerà poi una nuova speranza?
Questo non lo so. Per quanto io ricordi, nell’Italia del nord, nelle valli alpine, l’acqua non era mai mancata. Adesso manca! C’è stato un periodo, che si è protratto fino agli anni Ottanta, nel quale dei problemi dell’inquinamento si parlava ma la gente comune non trovava riscontri immediati a quanto veniva detto. Oggi il processo di avvelenamento della terra è sotto gli occhi di tutti. Chiunque può accorgersi che il traffico è diventato insopportabile, che manca l’acqua, che il mare è inquinato. Eppure non si fa niente per risolvere questo problema.

Secondo lei possiamo sperare in nuovi intellettuali che  potranno risolvere questo problema a livello etico?
Mi auguro di sì, per quanto sia molto pessimista. Se guardo al comportamento degli intellettuali italiani mi accorgo che sono degli sfacciati voltagabbana. Berlusconi ha delle colpe, è vero, ma tutto sommato sono gli italiani che lo hanno votato!

Anche Mussolini, come Berlusconi, fu votato in massa dagli italiani.
Quando ci furono i plebisciti lo scelse il 90% dei votanti. Ma ciò che di Berlusconi è veramente terribile è che è difficile capirlo. Lui ragiona con la testa dell’uomo comune, pensa al guadagno, tutto il resto non conta.

E ora parliamo di mafia. Come si è evoluto questo fenomeno nel corso degli anni?
Una volta c’era la mafia dei giardini e dei cantieri che, anche se in confronto a quella odierna era assolutamente innocua, a noi sembrava già terribile. Quella mafia si accontentava di controllare l’acqua, di venderla a caro prezzo, di pretendere le tangenti sui lavori edili e di commettere, ogni tanto, qualche omicidio o qualche scippo. Oggi, a mio parere, il dominio della mafia è riconosciuto, esiste una borghesia mafiosa che fa i suoi affari con Provenzano e che potrebbe tranquillamente aprire un ufficio al centro di Palermo.

In una sua famosa intervista il generale Dalla Chiesa le parlò di una criminalità organizzata potentissima legata ad imprenditori e politici.
Il generale Dalla Chiesa mi presentò la mafia politica. Accennò all’alleanza tra i mafiosi di Catania e quelli di Palermo per la spartizione delle opere pubbliche, ma, soprattutto, al fatto che al governo c’erano delle “orecchie che non sentivano”, dei filomafiosi, insomma, tra i quali i vari Lima o gli Andreotti. Quindi non fece altro che confermare l’aspetto fondamentale del rapporto fra politica e mafia e cioè che i partiti senza la mafia non riescono a governare.

Secondo lei il crimine organizzato, oggi, è più o meno potente di allora?
L’arrivo in Sicilia di circa 17mila miliardi è indice di una potenza che si è moltiplicata come si sono moltiplicati i fondi stessi. Nel mio libro L’Inferno ho citato casi di furti abbastanza consistenti, ad esempio quello dell’ospedale di Acireale, dove venivano distrutti i macchinari che poi dovevano essere ricomprati; oggi, però, si parla di miliardi. E di complici più potenti che, non lo possiamo negare, si trovano all’interno del sistema bancario. Che dire poi dei sessantuno seggi che, in Sicilia, sono andati alla destra? Questo fatto, che non ha precedenti storici, ci dimostra che la mafia dispone di quei voti di preferenza necessari a condizionare ogni collegio.

Ma come è possibile che questa organizzazione criminale, nata nel sud, riesca a condizionare così fortemente i vari poteri in un paese come il nostro, nel quale da sempre il nord rappresenta il potere economico?
Perché il nord è pienamente complice. Molti dei soldi provenienti da questi affari illeciti vengono mandati nelle banche del nord, e la gestione dissennata delle regioni in mano alla criminalità è possibile grazie alla complicità del sistema finanziario.

Eppure per un momento sembrava che la mafia potesse essere sconfitta.
No, secondo me quella era un solo una illusione. Ero molto amico di Caselli ed ero favorevole al lavoro che svolgeva perché riconoscevo la sua buona volontà. Ma la sua era una guerra persa in partenza. Lo si è visto al processo Andreotti: l’assoluzione del senatore a vita era la prova che la mafia doveva vincere.

E gli arresti di capi della portata di Santapaola e Riina come si inseriscono in questo contesto?
La mafia, per quello che io ho capito, è una famiglia e quando un membro di questa famiglia viene arrestato gli altri devono continuare a portare avanti gli affari. I mafiosi non diranno mai: <>, poiché sono consapevoli di essere sottoposti allo stato e quindi, al massimo, si batteranno per ottenere delle condizioni di carcerazione migliore.

Dal momento che quella di convivere con lo Stato è una delle regole della mafia - lo stesso ministro Lunardi ce lo ha ricordato - per quale motivo furono compiute le stragi del ’93?
Riina, mettendo in atto la strategia stragista, ha quindi commesso un errore che la mafia tradizionale ha punito al fine di preservare le proprie operazioni economiche.

Dottor Bocca, in alcuni processi i giudici parlano di una trattativa tra mafia e stato risalente agli anni ‘92-’93. Lei ritiene che ciò sia possibile?
Sicuramente. Lo scontro di Orlando con i Carabinieri era perfettamente logico poiché il maresciallo Lombardo o lo stesso capitano Basile, che è stato assassinato, avevano rapporti con la mafia. E questo è comprensibile dal momento che le forze dell’ordine dovevano lottare e resistere in uno Stato che era d’accordo con quei personaggi a cui loro stesse dovevano dare la caccia.

Secondo lei è possibile ipotizzare che qualche uomo di potere abbia chiesto alla mafia di uccidere i giudici Falcone e Borsellino?
Forse non c’è stata una richiesta specifica, ma è evidente che a taluni conveniva che venissero uccisi e la mafia non fece altro che interpretare i loro desideri. Lo stesso ragionamento vale per l’uccisione del giornalista Mino Pecorelli. Andreotti non avrà detto: <>, però qualcuno sapeva che gli avrebbe fatto comodo la sua eliminazione.

Tornando al generale Dalla Chiesa, poco tempo dopo la sua intervista fu assassinato. Quale fu il suo primo pensiero quando lo venne a sapere?
Conoscevo il generale Dalla Chiesa dai tempi delle Brigate Rosse e posso affermare che, nonostante passasse per un uomo di grande astuzia, era in realtà estremamente ingenuo. Una volta mi condusse in un ristorante, a Mondello, e la gente quando ci vide entrare si guardò intorno alla ricerca di vie d’uscita.
Lui voleva fare il coraggioso, ostentava sicurezza, usciva con la moglie, andava da solo in macchina e credo che questo ai capimafia desse molto fastidio.

Ma dietro la sua morte c’è solo la mafia o si nasconde qualche altro potere?
Ai potenti dava talmente fastidio che lo isolarono completamente. Quando arrivai a Palermo e salii in prefettura non c’era anima viva. Lui mi disse: <>. Aveva capito che era isolato e che quindi poteva essere ucciso.

Molti dei pentiti che stanno attualmente testimoniando nel corso di vari processi, quello contro il sen. Marcello Dell’Utri è un esempio, parlano di rapporti tra Cosa Nostra e pezzi dello Stato - tra i quali lo stesso Berlusconi - o di riciclaggio di denaro sporco.
Questi rapporti sono quasi pubblici. Si sa benissimo che “riciclaggio del denaro sporco” significa che i 150 mila miliardi che ogni anno raccoglie la mafia passano per le banche.

Berlusconi però afferma di non c’entrare niente.
E’ logico. L’organizzazione criminale è in grado di garantire l’impunità a chiunque non si faccia trovare con un mitra in mano. E lo fa tramite le banche. Come si fa ad accusare Berlusconi di aver ricevuto soldi dalla mafia se non lo si può dimostrare?

Quindi i mafiosi non sono più i vecchi con coppola e lupara.
L’errore degli italiani è quello di confondere la mafia con il suo braccio operativo. La mafia è una forma di società civile, ha potere economico. Quando sono andato ad intervistare i figli dei Costanzo, di Catania, mi hanno detto chiaramente: <>.

Ce ne sono ancora molti oggi di personaggi come i Costanzo e i Ferruzzi?
Ce ne sono moltissimi, e credo che personaggi di questo tipo siedano anche all’assemblea regionale siciliana. E quando un membro dell’assemblea regionale vara una legge che sana l'abusivismo è probabile che abbia rapporti con la mafia.

Secondo lei i mafiosi siedono anche in Parlamento?
Certamente e credo molti. E anche camorristi. D’altra parte, se tre regioni del Sud: la Puglia, la Campania e la Sicilia, considerano la mafia come un elemento portante dell'economia locale è certamente perché alcuni deputati sono essi stessi mafiosi.

Perché durante il governo di centrosinistra, a parte il lavoro dei magistrati e contrariamente alle aspettative di tutti, la mafia non solo non è stata degnamente contrastata ma ha addirittura alzato la testa?
Quello della mafia è un potere così radicato nel tessuto sociale che non si può vivere senza un accordo con esso. In Sicilia, poi, c'era una parte del partito comunista che era d'accordo con i mafiosi in materia di appalti per le cooperative e socialisti e radicali hanno addirittura fatto proselitismo nel carcere dell’Ucciardone.

I comuni cittadini, però, erano convinti che i mafiosi votassero solo Dc e che con la sinistra avessero pochissimo a che fare. In realtà è vero che Riina intratteneva i rapporti con la Democrazia Cristiana, ma Provenzano era in contatto con la sinistra.
Provenzano credo che sia con la Confindustria, con gli industriali, con i commercianti. Questo “malgoverno”, che non permette all’isola di mantenersi economicamente, fa della mafia un fattore necessario.

E’ vero però che il governo di centrosinistra ha chiuso gli occhi su tutto il territorio italiano. Perché?
Perché questa era la politica del governo D'Alema, la politica di una forza minoritaria che, anche avendo raggiunto i voti necessari per andare al governo, non aveva i poteri per governare e quindi si manteneva sempre in uno stato di inferiorità. Una volta saliti al potere, infatti, i socialisti sono diventati di destra e D'Alema ha incominciato a fare la “banca d'affari”. Con la scusa – che poi è anche un motivo vero - che la politica costa e che ci vogliono i soldi hanno dovuto stringere dei patti con chi i soldi li aveva.

Qualcuno sostiene che nessuna ideologia politica, una volta raggiunto il potere, potrebbe fare una seria pulizia poiché certe collusioni, anche a livello economico, sono talmente radicate che, estirpandole, si rischierebbe di compromettere determinati equilibri.
Una lotta efficace contro la mafia la si può fare solo nel momento in cui una cultura civile e democratica ha raggiunto una consapevolezza tale da non ritenere più tollerabile il rapporto. Ma a me sembra che questa possibilità sia stata non solo allontanata, ma oserei dire distrutta da questo neocapitalismo globalista. Stiamo parlando di banditi! L'imprenditore moderno è l'imprenditore che mira al profitto a qualsiasi prezzo.

Nel suo ultimo libro, Il Dio denaro, lei definisce il nostro governo un regime, che non dobbiamo chiamare fascista ma dobbiamo chiamare regime.
Potremmo quasi chiamarlo fascista. Naturalmente non mette in galera gli oppositori, però, per fare un esempio, oggi mi ha telefonato un mio collega raccontandomi che un ministro gli avrebbe detto: . E stiamo parlando di un ministro della Repubblica!

Per quanto concerne il campo dell’informazione è possibile ipotizzare un futuro in cui la libertà di stampa sarà impedita dal manganello di un regime autoritario?
Berlusconi generalmente evita la violenza, ma conosce molto bene i ricatti e le forze del potere.

Ma perché si è alleato con soggetti come Bossi?
Perché questi sono degli avventurieri. Arrivati al 4% dei voti hanno pensato che l’unico sistema per non scomparire era quello di allearsi con Berlusconi.

Eppure furono loro a farlo cadere.
E fecero cadere anche il sistema dei partiti.

Ma allora cosa è successo?
La verità è che di un movimento di autonomia autentico, nel nord, c’era veramente bisogno ed è quindi stato facile, agli inizi, radunare un numero cospicuo di persone. Quando però si è trattato di governare è emersa tutta l’ignoranza e l’incapacità di quel movimento e, di conseguenza, la sua prepotenza.

Secondo un’inchiesta palermitana denominata "Sistemi criminali”, in via di archiviazione, la massoneria, insieme ad alcune leghe del nord e del sud, aveva in progetto la divisione dell’Italia. Progetto che poi è stato abbandonato.
Si tratta di un’inchiesta molto accurata sulla massoneria. In passato anche il procuratore Cordova ha lavorato a inchieste simili, che però sono state completamente insabbiate. Ogni volta che stavano per sfociare in un processo venivano trasferite.

Le logge massoniche sul modello della P2 di Licio Gelli mantengono ancora oggi quella stessa potenza?
Non so se siano ancora così forti, ma si può tranquillamente constatare che molti degli appartenenti alla P2 trovano posti di lavoro presso enti televisivi, giornali e che sono tutti ben retribuiti.

Quindi questo tipo di potere persiste?
Persiste al punto che, per citare un esempio, mi è stato detto che all'ospedale “Molinette”, a Torino, se non sei mafioso non fai carriera. Ci sono poi forme diverse di massoneria. A Torino c’è una massoneria che invece di essere d’accordo con i mafiosi tenta di mantenere il proprio potere.

Parte del potere finanziario e politico è quindi nelle mani di criminali.
Certo, la criminalizzazione della società è in stato molto avanzato e questa lotta contro quel minimo di difesa, che veniva fatto non dal centrosinistra ma dagli italiani - che grazie al centrosinistra potevano svolgere la loro funzione - è stata volutamente soffocata. Oggi la campagna non è solo contro la giustizia, ma è contro la scuola e contro tutte le organizzazioni che possono rappresentare una resistenza civile. E’ una campagna che mira alla distruzione di tutto.

C’è il rischio che organizzazioni terroristiche entrino in azione per reazione, per disperazione o per qualunque altro motivo?
Non lo si può dire perché si viene subito tacciati di essere dei terroristi. E’ comunque abbastanza strano che le Brigate Rosse siano fiorite in un periodo in cui la lotta di classe era ancora possibile e che tacciano adesso che la lotta di classe è stata cancellata.

Potrebbero però sorgere movimenti “anomali”. Cosa pensa, ad esempio, del popolo di Seattle?
Il movimento mondiale è la conferma che questo globalismo capitalistico non passa gratuitamente ma provoca una reazione. E se questa reazione, al momento, è ancora molto velleitaria, un po’ caotica e non ha un progetto preciso, è però il segno che la gente non può sopportare all'infinito.

Maestro, può dare un messaggio ai giovani?
L’unico messaggio è che si sveglino, perché se desiderano vivere in un mondo come questo allora lo avranno, altrimenti dovranno rimboccarsi le maniche. E credo lo si possa fare perché questo economicismo, questo capitalismo sono talmente a effetto boomerang che non sarà difficile sentire il bisogno di creare organizzazioni “fuori dal denaro”.

Dobbiamo continuare a lottare.
Questo sì. E questo potrebbe essere uno scopo della vita.

ANTIMAFIADuemila N°19

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