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di Nicola Tranfaglia - 3 dicembre 2010
Pino Masciari è il nome di un testimone di giustizia. Una figura, creata all'ultimo momento  dal governo di centro-sinistra nel febbraio 2001 dal governo di centro-sinistra, per difendere quei cittadini italiani che, senza aver commesso reati, hanno detto la verità e, per difendere la legge e lo Stato, hanno raccontato la loro vicenda e dato un apporto fondamentale ai processi di mafia intrapresi contro le associazioni mafiose negli ultimi anni. 


Masciari è un imprenditore calabrese che la ndranghetaha fatto fallire per pochi milioni e costretto a nascondersi e ad accettare un programma di protezione scalcagnato che ha condotto lui, sua moglie e i suoi figli piccoli di un anno e due a girare l'Italia e a nascondersi in case sporche e inospitali senza lavoro e in attesa dei processi.

La sua storia è davvero incredibile e nessuno in questo paese vuole raccontarla. Pino Masciari, in un libro pubblicato da pochi giorni (che tutti dovrebbero leggere) da un piccolo editore (Organizzare il coraggio. La nostra vita contro la ndrangheta. ADD edizioni, pp.270, 19 euro), rievoca tutto quello che è successo dal 1994 ad oggi, i suoi viaggi da fantasma nelle case del Servizio protezione, gli inadempimenti oggettivi  delle forze dell'ordine incaricate di proteggerlo senza avere dai governi i mezzi per farlo, la distruzione della vita sua e della famiglia che lo ha seguito per fuggire la minaccia dell'associazione mafiosa calabrese e presente in Italia come in Europa.

Il suo è un atto di accusa che, come è inevitabile, non può risparmiare nessuno in questa Italia che continua a subire l'egemonia del populismo autoritario. I magistrati intervengono nella storia cercando, ma inutilmente, di modificare la situazione perché le forze dell'ordine realizzano il servizio di protezione senza i mezzi necessari e la classe politica appare in gran parte lontana dalla società o impotente rispetto ai meccanismi di ferro che reggono il funzionamento della giustizia nel nostro paese. Insomma Masciari rappresenta, con la sua vicenda, il simbolo di quello che capita a chi in Italia crede allo Stato e alla legge.

Una persecuzione infinita che distrugge una o più vite, che mette in moto, con la lentezza inevitabile, processi che durano anni e portano, nel caso più fortunato, ad alcune condanne di mafiosi ma non dei loro mandanti politici che oggi sono addirittura al potere. La questione italiana oggi è difficile, o addirittura sembra impossibile da risolvere, perché le classi dirigenti italiane al potere non appaiono in grado di compiere quella modernizzazione virtuosa della penisola che gli italiani attendono da troppo tempo inutilmente.

Le emergenze sono numerose e sempre più urgenti ma i problemi strutturali sono altrettanto presenti e chi si trova in una condizione lontana dal luogo del potere, è il caso di un testimone di giustizia come il protagonista di questa storia, ma è anche quello di chi lavora onestamente e non dispone dei privilegi previsti per quelli che al potere sono vicini, non risolve i propri problemi personali e subisce sulla sua pelle le contraddizioni di uno Stato che non è ancora moderno e neppure civile.

Nel nostro paese si ha una concezione dello sviluppo economico ancora arretrata, che non tiene conto della necessità di collegare l'economia alla civiltà di un paese, che separa la vita dalla cultura e accetta una politica economica come quella di Berlusconi, da anni protagonista di una politica contraria all'istruzione e alla ricerca, e ritiene che si possa far progredire l'Italia senza difendere nello stesso tempo l'eguaglianza dei cittadini e la legalità costituzionale. In una situazione di questo genere, una storia come quella di Pino Masciari, e di altri testimoni di giustizia che conosciamo appena, rappresenta un segnale più forte di altri ma ancora debole (è significativo lo scarso interesse dei grandi editori per storie come queste, come dei maggiori giornali) per mostrare al mondo la crisi italiana.

Far capire che riformare la penisola significa andare in profondità e intervenire nelle istituzioni, cambiarne il funzionamento, modificare la cultura e la mentalità di chi le governa. Insomma creare uno stato moderno e civile come chiede la costituzione repubblicana da quando è stata approvata nei lontani anni quaranta del Novecento. E'una richiesta estremista per chi vive nella normalità e vorrebbe che l'Italia fosse finalmente un paese europeo?

Tratto da:
Il Fatto Quotidiano

 

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