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di Stefania Limiti
Nell’album fotografico del biennio ’92-’93 un posto tra i protagonisti – quelli che stanno con il bene e quelli che stanno con il male, comparse, vittime innocenti, coloro guardano tacendo, e chi altri abbia avuto in sorte di passare in quel tempo tra quei fatti – spetta anche a Lorenzo Narracci, l’ex spia del Sisde, numero due del Centro di Palermo dal 2 dicembre 1991 alla fine del 1992. Molto vicino a Bruno Contrada, coinvolto in una inchiesta da cui è uscito completamente pulito, ipotizzato bersaglio della strage di Fauro – viveva proprio lì – Narracci è tornato di recente (22 luglio scorso) su quei giorni terribili, in occasione del processo in corso a Caltanissetta per i depistaggi dell’inchiesta su via D’Amelio (processo Mario Bo ed altri) con considerazioni interessanti anche a proposito di quella perizia chimica-esplosivistica acconciata da uomini del Sisde il 25 maggio 1992, due giorni dopo l’esplosione lungo l’autostrada di Capaci – perizia di cui abbiamo parlato nel post precedente.

Nell’album fotografico del biennio ’92-’93 un posto tra i protagonisti – quelli che stanno con il bene e quelli che stanno con il male, comparse, vittime innocenti, coloro guardano tacendo, e chi altri abbia avuto in sorte di passare in quel tempo tra quei fatti – spetta anche a Lorenzo Narracci, l’ex spia del Sisde, numero due del Centro di Palermo dal 2 dicembre 1991 alla fine del 1992. Molto vicino a Bruno Contrada, coinvolto in una inchiesta da cui è uscito completamente pulito, ipotizzato bersaglio della strage di Fauro – viveva proprio lì – Narracci è tornato di recente (22 luglio scorso) su quei giorni terribili, in occasione del processo in corso a Caltanissetta per i depistaggi dell’inchiesta su via D’Amelio (processo Mario Bo ed altri) con considerazioni interessanti anche a proposito di quella perizia chimica-esplosivistica acconciata da uomini del Sisde il 25 maggio 1992, due giorni dopo l’esplosione lungo l’autostrada di Capaci – perizia di cui abbiamo parlato nel post precedente.

Narracci ha la voce ferma e franca, è un uomo gentile – abbiamo provato a rivolgergli domande sulla catena di comando interna al servizio ma ha declinato per motivi di riservatezza – ed è molto sicuro di sé. Per questo meritano riflessione le sue parole: Narracci, infatti, incalzato dall’avvocato Fabio Repici, rivolge accuse al Servizio del tempo definendo “irrituale e illegittima” la repertazione di materiale sulla scena di Capaci. Parole davvero pesanti.

Sa dei tecnici arrivati da Roma all’aeroporto di Palermo, ma niente sa a proposito della missione, neanche i nomi degli ospiti. Un passaggio che fa sorgere una domanda semplice: possibile che l’alto funzionario fosse completamente all’oscuro della missione? Dal momento che Narracci insiste su questo aspetto della faccenda è legittimo ritenere che all’interno del Servizio vi fossero aree di autonomia, zone franche che rispondevano a propri riferimenti. Contrada pure era all’oscuro? Narracci dice di sì, la cosa non era nelle sue competenze. Eppure si tratta di un episodio che spezza l’ordinarietà delle cose. Ilda Boccassini, saputo dell’inusuale prelievo dei campioni sul luogo della strage, convocò d’urgenza a Roma Narracci – perché proprio l’uomo che aveva fatto solo da autista? Sentì anche le gerarchie superiori? – per chiedergli dettagli della strana vicenda – ma il collega pubblico ministero Tescaroli, lo abbiamo detto, non ne ha mai saputo nulla!

Narracci non ne fece parola con l’amico Contrada neanche di fronte all’ira di ‘Ilda la rossa’? Il clima deve essere stato davvero molto teso: di fronte alla Corte di Caltanissetta, l’ex vice del Sisde palermitano ha detto chiaro e tondo lo scorso luglio che Boccassini “stava per emettere un mandato di cattura” nei suoi confronti!

Un altro passaggio delicato della testimonianza di Narracci riguarda il famoso bigliettino lasciato sulla scena della strage e sul quale tanto abbiamo scritto e detto. “Guasto n-2 portare assistenza. 0337806133 G.U.S., Via in Selci, 26 Roma. Via Pacinotti”: questo è il testo dell’appunto che fa riferimento a luoghi e sigle del Sisde e che riporta interamente il numero telefonico intestato alla G.U.S., società di copertura del Sisde, nella disponibilità dello stesso Narracci: quel bigliettino gli è costato caro – una pesante inchiesta dalla quale è uscito completamente estraneo.

E dunque per l’ennesima volta siamo qui a chiederci: che ci faceva lì quel bigliettino? È molto semplice ha detto Narracci – lo aveva spiegato anche nell’interrogatorio nel lontano 12 luglio 1996 ma fino ad ora non era mai emerso pubblicamente: il famigerato bigliettino si trovava nelle tasche del collega Antonio Pellegrino che avrebbe dovuto portare l’apparecchio rotto di Narracci ad un suo parente alla Sip (l’allora compagnia telefonica nazionale) di Palermo (ma i potenti mezzi dei servizi?) Narracci chiede di far aggiustare il suo telefono in marzo, precisamente “subito dopo il delitto Lima”. Ora ci sarà concessa almeno una curiosità: Pellegrini avrebbe tenuto nelle tasche dei propri pantaloni il bigliettino per tutto quel tempo per poi farlo cadere accidentalmente proprio lì, quel giorno, sul luogo della strage di Capaci? Roba da mandare in frantumi la solida teoria della sincronicità di Jung.

In conclusione: mentre le stragi insanguinano l’Italia dentro il Sisde volano gli stracci, vengono realizzati atti “irrituali ed illegittimi” e piccoli bigliettini di appunti escono dalle tasche bucate di spie distratte.

Tratto da: ilfattoquotidiano.it

Foto © Shobha