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di Salvo Vitale
Pomeriggio di merda. Il mare è lucido, perlaceo, bianco, fermo, quasi di latte. Le scaglie di mare. Lo spazio infinito, fermato dalla tenue linea dell’orizzonte, mi sembra chiuso, inaccessibile. Nella sua fissità tutto è compiuto. Non avverto aperture, nuove strade, altre ipotesi, non significati. Ripetizioni senza rigenerazioni. Inchiostro di piovra. Non desidero vivere di nuovo questo momento, né riesco ad agire per desiderare di viverlo ancora. Nietzsche non basta, è lontano. Vado a chiudermi nello spazio cupo della radio, cerco tra i pochi libri rimasti “Il dominio e il sabotaggio” di Tony Negri, mi butto sulla poltrona di Peppino, e tento di leggerlo ancora una volta. Me lo aveva dato Peppino quando gli avevo espresso le mie difficoltà nel capire tutto quello che si agitava nel mondo dell’Autonomia Operaia, o nel condividerne le scelte politiche. Inizialmente mi era piaciuta l’analisi tipicamente marxista dei rapporti di forza tra padroni e lavoratori e l’obiettivo di distruggere il capitalismo attraverso un diffuso sabotaggio. Avevo addirittura adottato il testo come classico di filosofia nella mia scuola suscitando in Peppino un compiaciuto stupore. Ma continuavo e continuo a chiedermi cosa può esserci dopo, com’è possibile la sopravvivenza del lavoratore “libero” o “liberato”, oltre quel lavoro che gli procura il salario necessario per vivere. Se l’autonomia, l’autogestione, sia davvero possibile, se la conduzione collettiva e responsabile di un prodotto può essere gestita al di là delle regole che il capitalismo ha imposto e collaudato nei secoli. La rivoluzione, e dopo vediamo quello che succede. Mah! Quello che succede non si può determinare a pri-ori, perché non nascerebbe dalla volontà dei singoli, ma sarebbe una soluzione imposta. Va beh! E se i singoli, in questa sorta di “collettivismo” non avessero capacità imprenditoriali, esperienze di conduzione? Se la classica struttura piramidale dentro la quale siamo stati immersi impedisse l’emancipazione, il passaggio dalla condizione di pecora, con un necessario punto di riferimento, a quella di pastore di se stesso? Se tanti pastori improvvisati non riuscissero a trovare un punto comune per procedere insieme? Mi sento travolto da questo lento scivolare nella tanto strombazzata fine delle ideologie, ma mi convinco che è una bufala inventata solo per decretare la fine del marxismo. Il cristianesimo, che è anch’esso un’ideologia, quella di pecore e pastori, resiste tranquillamente e non dà sintomi di crisi. E allora? Non si vede nessuno. Scrivo di getto, poi accendo il trasmettitore e incazzato leggo:

Sono un autonomo
che non accetta la logica di questo stato e dei suoi partiti.
Arrestatemi.

Sono un professore di filosofia, quindi un ideologo
pericoloso a se e agli altri.
Arrestatemi.

Sono un redattore, molti dicono direttore, di Radio Aut.
Aut = autonomia.
Arrestatemi.

Sono stato amico di Peppino Impastato,
morto nello stesso giorno di Moro:
c’è una connessione col caso.
Arrestatemi.

Ci riuniamo in più di cinque
per organizzare la lotta contro la mafia,
parte integrante dello stato: associazione sovversiva.
Arrestatemi.

Insegno che la liberazione dell’uomo
passa attraverso la distruzione dell’autorità:
istigazione a delinquere.
Arrestatemi.

Definisco la Resistenza insurrezione armata
contro lo stato fascista legalizzato.
La Resistenza continua.
Arrestatemi.

La distruzione del capitalismo
passa attraverso il sabotaggio
e la riappropriazione dei mezzi di produzione.
Arrestatemi.

Proclamo ufficialmente
che questo stato è mafioso, corrotto, criminale.
Oltraggio alle istituzioni.
Arrestatemi.

Nessuno viene ad arrestarmi. Ma forse nessuno mi ascolta più

Dal libro di Salvo VitaleCento passi ancoraEdizioni Rubbettino - 2014

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