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di Marco Lillo
Il boss: “Fu nel 2013, il ministero mi accontentò e Berlusconi firmò i referendum radicali”. In aula: “L’ex premier non mi voleva fare uscire perché gli andavo a chiedere di rispettare i patti con mio nonno”

Carcagnate. In dialetto siciliano calci violenti. Il boss di Brancaccio, Giuseppe Graviano, pensava che Silvio Berlusconi meritasse questo trattamento. Al pm Giuseppe Lombardo, che lo sta interrogando da tre settimane ormai ogni venerdì (prossima puntata il 14 febbraio) il boss ha spiegato perché l’11 aprile diceva di Berlusconi: “Questa gente merita carcagnate”. Nell’ udienza del 7 febbraio scorso al processo ’Ndrangheta Stragista, Giuseppe Graviano ha svelato: “Stavo parlando sempre del signor Berlusconi, di lui stavo parlando, per come si è comportato”. Per Graviano, Berlusconi lo avrebbe tradito e non avrebbe fatto nulla per mutare il suo regime carcerario “perché non vogliono restituire il 20 per cento… i guadagni”. La tesi (non riscontrata e molto difficile da credere) di Graviano insomma è che il leader di Forza Italia non abbia mosso un dito per lui, recluso al 41 bis dal 1994, in quanto non vorrebbe riconoscere alla famiglia Graviano la parte che gli spetterebbe dell’investimento (sempre a dire del boss) effettuato dal nonno materno nel 1970 a Milano con Berlusconi.

A quel punto del suo racconto Graviano, per spiegare le ‘carcagnate’ promesse al leader di FI, tira fuori la storia di una lettera da lui spedita dal carcere di Milano Opera nell’agosto del 2013. Al Governo in quel momento c’è Enrico Letta, sostenuto anche dal Pdl che esprime il ministro della salute: Beatrice Lorenzin, per 13 anni fedele berlusconiana, da novembre del 2013 passata al Ncd di Angelino Alfano e ora nel Pd. La lettera di Graviano è diretta quindi all’allora ministro del Pdl. Conteneva - come ha raccontato Graviano - richieste sul vitto vegetariano e sulle uscite all’aria aperta. Secondo il detenuto la sua condizione di salute stava peggiorando. “Dopo un mese - prosegue Graviano - io ricevo la lettera (di risposta, ndr) e per conoscenza la risposta è inviata al Carcere di Opera e all’Asl di Milano dell’ospedale San Paolo competente sui detenuti del Carcere di Opera. Il ministero mi ha risposto che stava portando avanti tutto quello che avevo chiesto. Io avevo quella lettera ma è scomparsa quando mi hanno trasferito ad Ascoli nel 2014”.

Il boss, a suo dire, ottiene dal Ministero impegni scritti ad assecondare i suoi desideri su vitto e passeggiate e la promessa: “al resto ci stiamo pensando”. Il ‘resto’ per Graviano riguardava la questione dell’abolizione dell’ergastolo a vita. Quando scrive alla ministra infatti Graviano pensa “con una fava vedo se posso acchiappare più piccioni”.

Così Graviano sintetizza la sua lettera: “Io spiego questa situazione, che io ero in carcere per proteggere il signore Silvio Berlusconi e gli racconto le cose ingiuste che mi stavano facendo”. A detta di Graviano Berlusconi “non mi voleva fare uscire dal carcere perché gli andavo a chiedere di rispettare i patti con mio nonno, io nella lettera lo ho scritto chiaro”. Il ministero della Salute, a detta del boss mai pentito, nella risposta “mi anticipa che già era stato introdotto il vitto vegetariano nella tabella del vitto dei detenuti” e che erano state date disposizioni “di farmi soggiornare più all’aria aperta e poi mi ha detto che per tutto il resto ci stiamo pensando”.

Graviano sostiene di avere lamentato nella sua: ‘Non state nemmeno andando a firmare per il referendum sull’abolizione dell’ergastolo, perché - prosegue il boss - c’era in quel periodo la raccolta firme dei Radicali”. A questo punto, prosegue Graviano, Silvio Berlusconi “si fa vedere e fa la passarella che firma il referendum per l’abolizione dell’ergastolo con Marco Pannella ma firma solo lui e non si impegna per le firme”. Al Fatto risulta che effettivamente la lettera esiste: è arrivata al ministero della Salute il 21 agosto ma è stata esaminata dalla Direzione Generale solo il 17 settembre. Silvio Berlusconi ha firmato per il referendum con Pannella il 31 agosto 2013.

Questa storia, era stata raccontata già dal boss al compagno di detenzione Umberto Adinolfi nel carcere di Ascoli nel 2016. Lo scopo allora era operativo: Graviano confidava a Adinolfi i presunti rapporti con Berlusconi e la lettera alla ministra per disegnare il contesto entro il quale gli chiedeva di svolgere una missione: contattare qualcuno del giro di Berlusconi per chiedergli di darsi ‘una smossa’. Nella trasmissione Sekret della piattaforma Iloft.it quelle intercettazioni erano state già trasmesse e la segretaria dei Radicali Italiani Rita Bernardini aveva commentato: “La cosa singolare è che Berlusconi fece quella firma in pompa magna, dopo di che l’apporto dato da Forza Italia alla campagna referendaria è stato pari a zero”. Infatti le firme raccolte non raggiunsero la soglia delle 500mila. Al suo amico Umberto Adinolfi, in cella, Graviano aggiungeva che nella lettera rivendicava la sua deposizione al processo Dell’Utri nel 2010 quando si avvalse della facoltà di non rispondere su Berlusconi e Dell’Utri.

L’ex ministro Lorenzin, al Fatto replica stupita: “Ma scherziamo? Io non sapevo nemmeno chi fosse Graviano. La lettera non l’ho mai vista perché tutti i ministri, non solo io, non leggono questo tipo di lettere: esiste l’ apposito ufficio cittadini che smista le missive alla direzione competente. Come ho ricostruito solo ora, il detenuto lamentava problemi di salute in relazione al vitto e all’ora d’aria. Graviano ha ricevuto una risposta che però era diretta al carcere di Opera ed è stata inoltrata a lui solo per conoscenza. La direzione prevenzione era incompetente e per questo inviò la lettera di Graviano al Carcere e alla Asl. Non so se nella lettera - come lui dice - citasse Berlusconi. Di certo io non l’ho letta e quindi non ne ho mai parlato con Berlusconi. In ogni caso le lettere si potrebbero recuperare facilmente con un accesso agli atti”. Anche Graviano ha chiesto di recuperare quelle lettere. A questo punto il pm Lombardo potrebbe acquisire il carteggio per saggiare la credibilità del boss.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano dell'11 febbraio 2020

Foto © Imagoeconomica