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di Giorgio Meletti
L’incredibile lettera di Luciano in cui nega che la famiglia si sia mai occupata della gestione di Autostrade: “Contro di noi una campagna d'odio”

La situazione non è seria ma è gravissima. Se gli automobilisti prendessero sul serio i deliri autoassolutori di Luciano Benetton non imboccherebbero più i 2.800 km di autostrade date vent’anni fa in concessione alla famiglia dei maglioncini. Non solo il nostro respinge ogni responsabilità, da vero irresponsabile, ma addirittura rivendica di non aver mai saputo niente di che cosa succedeva dentro Autostrade per l’Italia (Aspi). I viadotti che crollano e le decine di morti sono colpa di “qualche mela marcia”. Lo ha scritto testualmente nella lettera lagnosa e minacciosa inviata a quasi tutti i quotidiani italiani e pubblicata con risalto e senza replica, come è dovuto a uno dei maggiori investitori pubblicitari. Il padrone delle ferriere ordina che sia fermata “la campagna di odio” scatenata da Luigi Di Maio, “che addita la famiglia come fosse collusa nell’aver deciso scientemente di risparmiare sugli investimenti in manutenzioni”. Una sola ammissione: “Ci assumiamo la responsabilità di aver contribuito ad avvallare la definizione di un management che si è dimostrato non idoneo”.

In verità (lo segnaliamo allo spin doctor strapagato per correggergli i temi) le scelte si avallano con una v sola, quelli che si avvallano sono i viadotti che poi crollano. Detto della grammatica, passiamo alla sintassi. Benetton vorrebbe farci credere che ha scelto il management, non si è mai occupato di sapere che cosa facesse e dopo vent’anni ha scoperto, perché gliel’ha segnalato la magistratura, che non era idoneo. Non si sa se ridere o piangere. La holding Atlantia, che i Benetton controllano (cioè comandano come se fosse tutta loro) con il 30% delle azioni, ha incassato negli ultimi dieci anni 5-6 miliardi di dividendi da Aspi, un monopolio naturale che il “management non idoneo” ha reso più redditizio di Google. Benetton analizza il ruolo della “famiglia” non nella gestione di una tabaccheria ma delle autostrade, da cui dipende la sicurezza di milioni di persone.

La domanda sorge spontanea: quale funzione sociale dei signori Benetton abbiamo retribuito versando ai caselli i miliardi di euro che sono finiti nelle loro tasche anziché nella manutenzione della rete? Da come parla il capostipite sembra che quei soldi gli siano dovuti perché lui è Benetton e gli italiani non sono un cazzo, un’idea feudale del capitalismo in cui il padrone in quanto tale ha diritto di esigere le gabelle. Dice Benetton: “Nessun componente la famiglia Benetton ha mai gestito Autostrade”, quindi “le notizie di questi giorni su omessi controlli, su sensori guasti non rinnovati o falsi report, ci colpiscono e sorprendono in modo grave”, quindi “come famiglia Benetton ci riteniamo parte lesa”. Sarebbe bello poter attribuire il marasma di queste frasi all’età avanzata e alla distrazione degli spin doctor, e ignorarle. Ma sarebbe irrispettosa e inverosimile l’idea che al timone del capitalismo italiano ci siano dei rincoglioniti. Quindi Benetton va preso, purtroppo, sul serio.

Cominciamo dunque a ricordargli che le parti lese sono i 43 morti del ponte Morandi e le loro famiglie, insieme ai 40 morti del viadotto Acqualonga (Avellino 2013) dei quali il signor Luciano sembra non aver ancora avuto notizia. Sei mesi fa Benetton, intervistato da Repubblica, definì il crollo di Genova “disgrazia imprevedibile e inevitabile” e giurò su Giovanni Castellucci, il manager che vigliaccamente non nomina mai: “Sono sicuro della buonafede dei manager di Autostrade”. E come faceva a essere sicuro se non sapeva niente? Per dire, il libro di Giorgio Ragazzi I signori delle autostrade è uscito nel 2008 e c’è scritto tutto: Benetton l’ha letto o se l’è fatto riassumere dallo spin doctor che gli ha detto “tutte cattiverie”? Ma fu sulle accuse riguardanti i pedaggi troppo alti e la convenzione con lo Stato “di privilegio” che il nostro superò se stesso: “Ci siamo guardati in faccia e ovviamente abbiamo posto ai vertici dell’azienda la domanda”. Ha chiesto a Castellucci: “Come sono i pedaggi?”. Lo sventurato rispose: “Bassi”.

Un bambino di otto anni si chiederebbe: “Se i pedaggi erano bassi, come facevate quei profitti per i quali Castellucci era pagato 5-6 milioni l’anno per dirigere un monopolio senza mercato e senza concorrenti? Forse risparmiando sulle manutenzioni?”.

Possibile che a un grande imprenditore di 84 anni non sia mai venuto lo stesso dubbio? Quando il Parlamento approvò con legge la concessione scandalosa che adesso il governo vorrebbe revocare, Autostrade aveva appena irrorato tutti i partiti con oltre un milione di euro. Signor Luciano, questa la sa o la scopre ora con le altre monellerie della mela marcia? Due mesi fa, quando hanno capito di essere in trappola, hanno cacciato Castellucci (ricoprendolo d’oro) per montare la bufala della mela marcia, come se nei 18 anni in cui gli hanno dato “i pieni poteri” (parole del capo della famiglia) avesse fatto tutti quei profitti di nascosto.

Ma Benetton continua a fare il tonto per non pagare dazio: “Da quanto sembra l’organizzazione di Autostrade si è dimostrata non all’altezza”. È arrivato Sherlock Holmes.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano del 2 dicembre 2019

Foto originale © Imagoeconomica

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