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di Massimo Novelli
Un saggio di Ciconte ricostruisce il delitto del nobile e politico siciliano nel 1893: tutti assolti gli assassini

Lo hanno definito “un eroe borghese ante litteram”, il primo dei non tantissimi nelle vicende italiane dal 1861 a oggi. Come Giorgio Ambrosoli, il commissario liquidatore delle banche di Michele Sindona, fatto uccidere dal bancarottiere siciliano: “L’eroe borghese”, insomma, di un bel libro di Corrado Stajano. Ambrosoli era stato monarchico da ragazzo. Emanuele Notarbartolo di San Giovanni era un marchese, “proveniva da un’antica e nobile famiglia, i cui antenati figuravano in due diplomi di Federico III re di Sicilia nel lontano 1296”. Era naturalmente di “istinto conservatore” e “intransigente Notarbartolo, lo sapevano in tanti; onesto e fermo nelle sue convinzioni morali dalle quali non defletteva”. Non aveva ceduto da sindaco di Palermo, e tanto meno da direttore generale del Banco di Sicilia. Per queste ragioni fu assassinato la sera del 1° febbraio del 1893, in una carrozza di prima classe del treno che da Sciara lo stava riportando a Palermo. A ricostruire con accuratezza il caso Notarbartolo, su cui si sono esercitati con maestria anche Paolo Valera e Sebastiano Vassalli, è ora Enzo Ciconte, docente di Storia delle mafie italiane all’Università di Pavia e autore di diversi saggi sulla ’ndrangheta e Cosa Nostra. Il suo libro Chi ha ucciso Emanuele Notarbartolo? (Salerno) parte da un assunto, che è poi il sottotitolo del volume: “Il primo omicidio politico-mafioso”.
L’assassinio del nobile siciliano, in effetti, inaugurò la lunga serie di delitti compiuti dai sicari della mafia in collusione di affari o su ordine di poteri più o meno occulti, politici ed economici. I protagonisti in nero di allora, avverte Ciconte, “mostrano i tratti negativi di un potere e di una classe dirigente ampiamente intesa, che avranno modo di rivelarsi nella storia successiva dell’Italia liberale, fascista e repubblicana con un’incredibile e sorprendente continuità pur con gli evidenti e inevitabili mutamenti di uomini e di scenari”. L’eliminazione del marchese Notarbartolo, che aveva contrastato le consorterie politiche e affaristiche nel loro assalto della Sicilia, dalle banche alle terre, alle cariche pubbliche, rimase senza colpevoli. I più che probabili autori - cioè il politico Raffaele Palizzolo come mandante e Giuseppe Fontana come uno dei killer - furono assolti dalla Corte d’assise di Firenze nel 1904. E tutto ciò dopo che la Cassazione aveva annullato, per vizio di forma, le condanne a 30 anni inflitte ai due dalla Corte d’assise di Bologna. Rammenta Ciconte che sotto “un grande titolo, ‘La riscossa della maffia’, l’Avanti! commentava quello che stava succedendo… A Firenze Palizzolo era protetto dal ‘più cordiale degli amici di Giolitti’”. E di Palizzolo, alfiere della politica iper-regionalista, il giornale socialista “diede questo giudizio: ‘Egli è l’ambasciatore della maffia siciliana; egli è colui che tramutò la maffia da puro fenomeno di delinquenza e di degenerazione sociale in forza politica: egli fu colui che dette nelle mani di quella società a mal fare l’arma più terribile di dominio, superiore alla frode, alla corruzione, all’inganno, al coltello, al bastone: l’arma elettorale’”.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano