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di Giulietto Chiesa
Gli autori della lectio magistralis sono “loro”, i signori servizi segreti. Qui si vede bene la road map, cioè come si fa.
Prima i fatti. Per esempio, andiamo con ordine guardando meglio la serie dei fatti (meglio dire provocazioni) che hanno preceduto la notte di lunedì 17. Due petroliere che navigavano nel golfo di Hormutz sono “leggermente minate”; una norvegese, l’altra giapponese. Trasportano petrolio iraniano. Chi è stato? Eliminiamo Cina e Russia, non interessate. Entrambe alleate di Teheran. Servizi segreti iraniani? Sarebbe un’azione totalmente masochistica. In quei giorni il premier giapponese è in visita a Teheran (su richiesta anche di Donald Trump) per missione distensiva. Oppositori di Rohani? Non si può escludere, ma non ci sono elementi a sostegno. Intanto né le due petroliere, né quelle in precedenza attaccate, sono affondate. E gli incendi sono stati tutti subito spenti.
Di solito le petroliere, piene di petrolio, s’incendiano e qualche volta affondano. Invece tutto è stato subito riparato. Sembrano “avvertimenti” per ricordare ai naviganti che le sanzioni Usa devono essere rispettate. Per giunta gli americani - che monitorano h24 ogni centimetro quadrato del Golfo Persico - non mostrano prove. Si vede solo un battello, non identificato, vicino alla fiancata di una delle petroliere con lo scopo, pare, di rimuovere una mina inesplosa. Ben strano atteggiamento (e ben stupido) per terroristi che volessero far saltare in aria una petroliera. E poi, fossero stati iraniani, non solo se ne sarebbero stati acquattati in silenzio, ma avrebbero ben potuto usare uno dei loro missili (ne hanno a decine piazzati sulle rive nordorientali del Golfo), con effetti ben più distruttivi di una piccola mina, che non ha neanche aperto una falla. In ogni caso, nessuno dei satelliti Usa, degli aerei Usa in ricognizione permanente, ha raccolto testimonianze. Che non funzionassero tutti gli apparati di rilevazione proprio in quel momento? Sarebbe una coincidenza molto strana, di quelle, per intenderci, che accaddero l’11 settembre del 2001 in quel di New York.
In ogni caso il presidente Trump non dà molto peso a tutta questa sceneggiatura. Che invece tutti i media occidentali rappresentano, con il “colpevole” Iran in prima pagina. Ci vuole qualche cosa di più corposo per smuovere il Presidente. Allora va in scena il secondo atto. Dove si vede che l’autore è lo stesso del primo atto. Un drone Usa viene mandato a spiare il nemico. Qui la disputa si fa complicata: era nello spazio aereo internazionale oppure no? Saperlo è impossibile. Resta che la contraerea iraniana lo abbatte. E poi la tv iraniana manda in onda le immagini del drone ricuperate in territorio iraniano. Cosa che fa pensare che i più bugiardi di questa storia non siano gli iraniani. I quali fanno maliziosamente sapere che stavano osservando ogni manovra nei loro cieli. E sapevano anche che, accanto al drone, c’era un aereo molto più grosso, con 35 ufficiali a bordo. Lo dice il brigadiere generale Amir Ali Hajizadeh, comandante delle forze aerospaziali iraniane. Rivelando che, accanto al drone RQ-4A Global Hawk, volava un P-8, aereo spia della Marina Usa. Doppio sarcasmo: gli iraniani sapevano tutto, ma decisero di abbattere il drone come “avvertimento”. Atto gentile che dimostra che non sono loro a voler aggravare la situazione. Trentacinque aviatori americani uccisi avrebbe significato fornire il casus belli a chi voleva cominciare la guerra. Vittime sacrificali potenziali. Vivi per caso, comunque grazie all’intelligenza politica di Ali Khamenei.
Tutti indizi che questa storia è frutto delle geniali trovate della Cia o di qualche alleato del Golfo. Ma il “divertimento” vien studiando il comportamento di Trump. Al quale viene ovviamente riferito che il drone era in “acque internazionali”. Ma lui pare molto poco indignato. E pronuncia ad uso e consumo dei giornalisti una frase molto conciliante: “può essere stato qualcuno che ha perso la testa, o uno stupido”: Frase molto generica che non riguarda solo gli iraniani. Il Financial Times riferisce che, subito dopo essere stato informato dell’incidente, Trump aveva detto che “era difficile credere che la mossa iraniana fosse deliberata”.
Sappiamo che egli diede l’ordine di colpire in risposta una serie limitata di obiettivi iraniani “sensibili”, che comunque sarebbe stato un atto di guerra dalle proporzioni imprevedibili, devastanti. Il New York Times e il Washington Post hanno riferito che ci fu una discussione molto accesa e tesa nell’entourage del Presidente, che durò qualche ora. Dunque si ha l’impressione che, in quel contesto, abbiano preso parte alla discussione non pochi falchi, magari sodali di coloro che, ore prima, avevano messo (o incoraggiato a mettere) le mine sulle petroliere e poi dato l’ordine alla squadriglia della Us Navy che andò a provocare e spiare. C’era, tra di loro, John Bolton, segretario per la Sicurezza nazionale. E c’era Mike Pompeo, segretario di Stato. C’erano anche molti altri, impegnati a convincere Donald Trump che questa mossa sarebbe stata molto utile per arrivare al secondo mandato. Ma c’erano anche quelli che pensavano che un’America impegolata in una guerra contro l’Iran non sarebbe favorevole a un secondo mandato di Trump.
Com’è andata a finire, per ora, ce lo ha detto Donald in persona, con una dichiarazione (delle 9:03 del 21 giugno 2019) che sarà probabilmente ricordata nei libri di storia: “Lunedì loro hanno abbattuto un drone senza pilota che volava in acque internazionali. Noi siamo rimasti a discutere la scorsa notte su tre diverse opzioni. A quel punto io ho chiesto quanta gente sarebbe stata uccisa. La risposta di un generale fu: 150 morti, signore. Così, dieci minuti prima del colpo, l’ho fermato: non era proporzionato all’abbattimento di un drone senza pilota. Non ho fretta, la nostra forza militare è stata ricostruita, è nuova, e pronta a partire. Per il momento la migliore al mondo”.
Tiriamo un sospiro di sollievo, per ora. Specie confrontando un Presidente che rifiuta un bilancio di 150 morti contro zero: decisamente meglio di quanto fece la signora Madeleine Albright quando decise di ammazzare quasi 3mila cittadini jugoslavi. Ma è evidente che Trump non pensava ai 150 morti iraniani. Pensava a come uscire dalla trappola che alcuni dei suoi collaboratori felloni stavano preparando per lui.

Tratto da: ilfattoquotidiano.it

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