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lucano mimmo c ansadi Umberto Santino
Con l’arresto del sindaco di Riace, Mimmo Lucano, siamo a un punto di svolta. Che fosse indagato si sapeva da tempo e lui aveva reagito a suo modo, con il digiuno, raccontando quello che aveva fatto in tutti questi anni, trasgredendo la Bossi-Fini ed esponendosi all’incriminazione per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, rilasciando certificati falsi, celebrando nozze finte per evitare che gli immigrati venissero cacciati via. Mostrando a sua difesa un paese che era un deserto confinante con un cimitero e ora è diventato la casa comune per i locali e gli immigrati. Un laboratorio di umanità. Un simbolo di civiltà. Tutto questo ha un nome e non è una novità: si chiama disobbedienza civile. È quello che hanno fatto Gandhi, Rosa Parks e Bertrand Russell, e qui da noi Danilo Dolci. Pagandone il prezzo. Ora Mimmo Lucano si accinge a pagare il suo. Se si guarda al provvedimento che elenca le incriminazioni e ha provocato l’arresto, sembra di avere tra le mani un colapasta. Si prospettava l’associazione a delinquere, ma non ci sono indizi sufficienti per verificare l’accusa. Il sindaco ha dirottato fondi pubblici verso destinazioni diverse da quelle protocollari, ma il gip osserva che sono solo congetture. Sarebbe accusato di truffa aggravata ma mancano riscontri. E avrebbe turbato la libertà di scelta, appaltando agli asinelli la raccolta dei rifiuti. La colpa, il delitto, il peccato mortale di Lucano è di aver fatto quello che ha fatto: avere accolto invece di respingere, aver violato leggi e regolamenti sapendo di farlo, perché se è vero che i fini non giustificano i mezzi, come sentenzia il gip rovesciando Machiavelli, è altrettanto vero che non usare quei mezzi, formalmente illegali e scorretti, avrebbe significato rinunciare a quei fini. Dare per persa la partita, prima di cominciare a giocarla. Mimmo Lucano, che non si diverte a destreggiarsi sul confine tra lecito e illecito e non è un delinquente lombrosiano, ha provato a rispettare la legge: a una ragazza nigeriana, si chiamava Becky Moses, che era stata a Riace e vi si trovava bene, è stato negato il permesso di soggiorno e ha dovuto lasciare il paese, è finita sul marciapiede e nel gennaio scorso è morta nell’incendio della baraccopoli di Rosarno. Se questo vuol dire rispettare le leggi, è un delitto l’averlo fatto. Ora il procuratore di Locri, che si è visto cassare 14 punti su 15, ricorrerà contro il gip e dopo si apriranno due strade: o il rigetto delle richieste della procura o il rinvio a giudizio. E se processo ci sarà, sarà il processo in cui si scontrano due mondi: il mondo di Salvini, degli aspiranti ducetti, dei grillini che fanno da zerbino, con quelli del Pd divisi tra il dire e il non dire, perché ancora debbono decidere tra l’essere e il non essere, e il mondo di chi crede che si può disobbedire se si ritiene che leggi e regolamenti sono ingiusti e disumani. L’Antigone del terzo millennio. E bisogna decidere da che parte stare. Il processo potrà finire con una condanna o all’italiana: una mezza condanna e una mezza assoluzione. Parallelamente dovrebbe svolgersi il processo a Salvini, il sequestratore degli immigrati condannati alla quarantena sulla Diciotti. Ma il problema non è solo giudiziario, è in primo luogo il confronto tra un’etica che mette al centro le persone, i loro corpi sottratti alle torture e ai naufragi, e una politica che crea e cavalca paure, incita all’odio, predica razzismo e intolleranza, proclama "prima gli italiani" e sta facendo scivolare il Paese verso qualcosa che non sarà il fascismo ma ha molti tratti in comune. La tragedia che si replica in farsa. Mimmo Lucano avrà tirato la corda, sapendo di farlo, ma il gip sottolinea continuamente che non l’ha fatto mai per interesse personale, che non si è messo neppure un centesimo in tasca. Anzi ci ha rimesso di suo. E forse questa è la sua colpa, quanto meno una stranezza, mentre tutto è diventato mercimonio, intrallazzo, parodia o fotocopia di mafia.

Tratto da: La Repubblica edizione Palermo

Foto © Ansa

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