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travaglio marco c imagoeconomica 3di Marco Travaglio
Quando il ministro dell’Interno Salvini si appunta al petto come medaglie le imputazioni che gli contesta il procuratore di Agrigento, ha torto marcio: un conto è proclamarsi innocenti, un altro è contestare il potere giudiziario che fa solo il suo lavoro in presenza di notizie di reato. Quando il ministro dell’ Interno Salvini domanda perché lui è stato subito indagato per la nave Diciotti, mentre per il ponte di Genova non lo è stato ancora nessuno, dice una sciocchezza: la Procura di Agrigento non c’entra nulla con quella di Genova e soprattutto i due casi sono molto diversi. Nell’uno si discute degli ordini di un ministro, che lui stesso ha rivendicato come suoi, dunque si è identificato da solo; nell’altro bisogna prima accertare le cause e le concause del crollo e i vari livelli di responsabilità: gli indagati non si iscrivono “’ndo cojo cojo”. Quando il ministro dell’Interno Salvini e i suoi fan invitano i magistrati a occuparsi dei “veri reati”, delirano come B. che considerava “veri” solo i reati altrui e falsi solo i suoi: peccato che in Italia i pm abbiano l’obbligo di indagare su tutte le notizie di reato.
Tutto ciò premesso, giunge notizia che a Rimini è stato arrestato un bengalese, venditore di rose nei ristoranti, con l’accusa di aver violentato per strada una turista danese. E, al momento del fermo, s’è scoperto che il tizio è in Italia con un permesso di soggiorno che lo classificava come regolare lavoratore con contratto subordinato (quindi fondato su un falso) e, soprattutto, che dal 1999 a oggi aveva collezionato tre denunce per violenza sessuale: due ai danni di donne maggiorenni e una su una minorenne, più una per oltraggio a pubblico ufficiale. Ma la sua fedina penale è immacolata, perché nessuno dei processi a suo carico s’è ancora concluso con una condanna definitiva. Il sindaco pidino di Rimini chiede ai magistrati e alle forze dell’ordine che ci faccia a piede libero un signore con quel curriculum: dovrebbe rivolgersi ai suoi compagni di partito, che in 25 anni, in combutta col centrodestra, non han fatto altro che limitare la custodia cautelare fino a renderla difficilissima, se non impossibile, salvo che per reati di sangue, mafia e terrorismo (leggere il libro Giustizialisti dei giudici Ardita e Davigo, ed. PaperFirst, per credere). Intanto a Jesolo è stato arrestato un senegalese con l’accusa di aver stuprato in spiaggia una ragazza di 15 anni. Lui di precedenti penali (condanne definitive) ne ha più d’uno – furto, atti osceni e resistenza a pubblico ufficiale – e il suo permesso di soggiorno è scaduto nel 2013.
Infatti nel 2015 è stato espulso (per finta, ci mancherebbe). Ora che l’hanno ribeccato, sarebbe l’occasione per cacciare il pregiudicato dall’Italia. Ma non si può, perché ha fatto un figlio con una donna italiana, ha presentato ricorso contro l’espulsione e si attende che le autorità amministrative si pronuncino sul suo caso: nel frattempo resta qui e, se son vere le accuse documentate dalle immagini di una telecamera per strada, continua a delinquere. Salvini twitta sdegnato: “Questo verme non può essere espulso”. E ha ragione da vendere, o meglio l’avrebbe se fosse ancora un leader di opposizione anziché il ministro dell’Interno e il numero due del governo, che i problemi deve risolverli, non denunciarli. Il contratto M5S-Lega promette “certezza della pena” e “rimpatrii” di immigrati irregolari. A parte il sacrosanto stop alla legge svuotacarceri dell’ex ministro Orlando, nulla s’è ancora fatto in proposito. I rimpatrii sono lunghi e costosi, oltreché in gran parte impossibili perché al momento solo quattro Stati africani hanno accordi in tal senso con l’Italia. Ma, in attesa di riacciuffare tutti i clandestini (circa 600 mila) desaparecidos per l’Italia e rispedirli nei rispettivi Paesi – impresa che richiederebbe una trentina d’anni e chissà quanti miliardi – si potrebbe cominciare con i pregiudicati, che già in base alla legge Bossi-Fini possono essere espulsi per scontare la pena in patria.
Poi c’è la custodia cautelare, che i governi di destra e di sinistra hanno ridotto al lumicino per salvare dalla galera i delinquenti di casa propria. Basterebbe tornare alle regole procedurali del 1992, l’anno di Mani Pulite, quando bastavano i gravi indizi di reato e il pericolo o di fuga, o di ripetizione del reato o di inquinamento delle prove per mettere dentro un indiziato durante le indagini e i processi. E al contempo riformare la prescrizione, che non è solo effetto ma soprattutto causa delle lungaggini processuali, e metter mano a misure stranote e stranecessarie per deflazionare il contenzioso e snellire i dibattimenti. Ieri abbiamo scritto che il governo, se Salvini non esce dai panni del Cazzaro Verde per diventare un ministro che amministra, se i gialli e i verdi non la smettono di litigare su tutto, ha i mesi contati. Ma in questi pochi mesi qualcosa di buono si può fare. E in quel qualcosa c’è anche una sterzata decisa che metta finalmente le vittime, anziché i colpevoli, al centro del sistema giustizia. Gli stupri non sono un’esclusiva dei migranti (l’ultimo, a Parma, pare sia opera di un ricco e italianissimo imprenditore e del suo pusher): ma quando a commetterli sono figuri che non dovrebbero stare in Italia e invece ci stanno a causa di procedure confuse e di leggi assurde, è inevitabile che l’indignazione popolare, col solito contorno di razzismo e giustizia fai-da-te, si moltiplichi. E che si scarichi sulla magistratura, anziché sui politici che hanno loro legato le mani. Politici che – vedi la Lega di Salvini&C. – quelle leggi ha votato o addirittura promosso, e ora non solo non pagano alcun prezzo di impopolarità. Ma riescono addirittura a lucrarvi altri voti. Dopo il danno, la beffa.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

Foto © Imagoeconomica

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