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de tomassi andreina pp 850di Andreina De Tomassi
Siamo ragazzi del secolo scorso, siamo i “Ragazzi del ‘68”. Qui in veste di testimoni di un’epoca. Ovviamente ognuno ha vissuto la “Contestazione Globale” a suo modo, per Antonio forse fu più politica, fattuale, io la vissi in modo più sociale, sognante.
Prima di addentrarci nel tema di Arte e Rivoluzione che svolgeranno Andrea Baffoni ed Elvio Moretti, vorrei offrirvi un altro punto di vista, una piccola riflessione.
Allora, almeno dal ’68 e fino al Movimento del ’77, il Fare Politica era semplicemente v i v e r e, essere nella realtà, essere Cittadini del mondo. Eravamo alla continua ricerca dell’Altro, per ascoltare, raccontare, progettare insieme, toccarci, abbracciarci, eravamo per il Dia/Logo continuo, fuggivamo dai Mono/Loghi. Appena finita la scuola, si correva a casa di uno o dell’altro, per parlare, organizzare, magari decidere un’assemblea. Era l’epoca dell’assemblearismo, delle occupazioni, dei cortei.. sempre TUTTI INSIEME, compatti, come se abitassimo sotto un serpentone di cartapesta che girava notte e giorno per la città, per i paesi, dappertutto…
de tomassi andreina 1968Il nostro era un Corpo a Corpo con un futuro-presente, che, come si sa, lo volevamo “tutto e subito”. Eravamo, tutti insieme, un CORPO SOCIALE. Eravamo IL CORPO DEI GIOVANI.
E proprio il nostro corpo abbiamo usato per comunicare.. “a voi gente per bene..”, alla borghesia ingessata, che era cambiata musica. Ecco le minigonne, il trucco pesantissimo, i capelli alla Angela Davis o sempre spettinati, ribelli. Come le lunghe chiome dei ragazzi, scamiciati, in jeans, le prime scarpe da ginnastica fuori dalla palestra. Ed ecco i primi luoghi: spiagge o capanni, segreti, abusivi, per nudisti (che poi questa del nudismo è solo stupido perbenismo italiano perché nel Nord Europa lo fanno da sempre e non c’è ne’ scandalo, ne’ guardoni), o le prime Comuni agricole, sperdute sull’Appennino, tipo mormoni ma col mangianastri, in case diroccate dov’era difficile distinguere il corpo femminile da quello maschile così infagottati con le ruvide flanelle (ma in realtà il ritorno alla terra, all’agricoltura vera sarebbe successo qualche anno dopo). Arrivano i primi spogliarelli da delirio musicale, come a Woodstock, o il menefreghismo narciso tutto nude look degli hippies, i primi corpi tatuati, le collanine fatte a mano con i lacci di cuoio, le fasce sulla fronte come fossimo tutti degli indiani metropolitani, (che sarebbero arrivati qualche anno dopo). Dall’India arrivano gli incensi, l’Hennè, i pantaloni arancioni.. E il Corpo balla, si libera, si sogna tutti insieme nella foresta del realismo magico di “Cent’anni di solitudine”.
Un corpo esposto. Perhè certo la tribù, il branco, si riconosceva: per gli eskimo, per il pugno chiuso, il baschetto con la stella del CHE, per il Manifesto in tasca. Anche se non tutti aderirono al dictat della moda sessantottina; molti anzi la giudicarono una forma di “narcisismo piccolo borghese” e poi stupido e inutile soprattutto nelle manifestazioni. La riconoscibilità sarebbe stata immediata e a chi “giocava alla guerra”, volando e fuggendo nella guerriglia urbana, come mille falene, bastavano delle scarpe comode.
de tomassi andreina antonioMa quel Corpo dei giovani, ci fu chi parlò di “puledri impazziti”, non voleva solo comunicare la lotta all’autoritarismo o una voglia di vita più “leggera”, senza costrizioni, paternalismi, decisionismi. Non era solo la LIBERTÀ che si cercava. Noi volevamo anche altro. Volevamo la comunità, la condivisione, uno stare insieme per modificare le regole. Non era una socievolezza generazionale, un “mucchio selvaggio” magari fuori di testa per alcol o marijuana, era un PROGETTO DI VITA. Era una ricerca di fraternità, anche anarco-pacifista, ma sempre rispettosa dell’altro, INSIEME per cambiare il mondo. Tutto intorno a noi ci diceva che avevamo ragione. O così ci sembrò. Quando si urlava contro la guerra in Vietnam il mondo manifestava con noi, quando, più tardi, si manifestava contro il Golpe in Cile, ci sembrava che la protesta fosse unica e mondiale. Forse non eravamo global, ma certo internazionalisti sì e le “Notizie dal mondo” erano il nostro primo interesse. Sì... tutto intorno a noi sembrava che ci desse ragione: il Cinema, con i videotape d’assalto e l’impegno di alcuni registi e attori, la Danza che diventò “contemporanea”, viscerale, teatrale. La Musica, quella di Protesta con Giovanna Marini, Paolo Pietrangeli, Ivan Della Mea, Ernesto Bassignano (che è venuto qui qualche anno fa), e il Teatro che diventò di piazza, tornò nomade, rovesciò la quarta parete...
de tomassi andreina land art 2016Permettetemi un piccolo ricordo. Prendiamo il Teatro. A quell’epoca il Living Theatre, che era nella fase discendente della sua “rivolta”, faceva molto parlare di sé, perché sconvolgeva gli spettatori, perché la Compagnia stava “sempre insieme” notte e giorno, il teatro era il loro corpo e il loro corpo era il teatro. Uno dei tanti scandali del Living fu la messa in scena di “The Connection”. Storia di un gruppo claustrofobico di drogati che aspetta lo spacciatore, la “connessione”, appunto; ma sul palco, tra gli attori “recitano” anche dei drogati veri. Fu un parapiglia, un delirio, per molti una “furbizia” scandalosa.
Oggi ci sembra quasi irrilevante, in tempi di morti in diretta.
Però, a distanza di tempo, cinquant’anni fa non ci avrei pensato: mi fa ridere quella parolina, pensateci bene: The Connection.
Guardiamoci: siamo tutti connessi? Aspettiamo tutti la nostra “dose”?

*Discorso pronunciato in occasione della conclusione del Festival Ville&Castella che si è tenuto alla Casa degli Artisti venerdì 27 luglio 2018

Info: Festival Ville e Castella - Casa degli artistiLand Art al Furlo

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