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donatelli sara 500di Sara Donatelli
«Mano di gomma non voleva più dare conto ad Antonio Dragone e diceva: ‘Io sono un killer, io ci sto facendo il nome ai Dragone, io sto ammazzando la gente per i Dragone però loro si prendono i soldi e io no. A questo punto mi sono stancato, la famiglia me la alzo io, non do più conto ai Dragone’. E quella volta lì si è passata la novità, noi non conoscevamo più Antonio Dragone, la famiglia Dragone, come capo, ma Nicolino man ‘e gomma”...». Eccolo qui, nelle parole del collaboratore di giustizia Vittorio Foschini, Nicolino Grande Aracri, mano di gomma, il boss della più potente cosca di ndrangheta dell’Emilia Romagna, oggi protagonista del più grande maxiprocesso mai registratosi in Emilia Romagna, "Aemilia", che vede sul banco  più di 200 imputati accusati a vario titolo di avere fiancheggiato, favorito e partecipato al disegno criminale ideato dalla cosca Grande Aracri.
Una presa di potere, quella di Nicolino che è costata la vita persino al boss Antonio Dragone, allora capo della locale di Cutro, arrivato come soggiornante obbligato nel 1982 nel comune di Quattro Castella, in provincia di Reggio Emilia e per la cui uccisione, avvenuta il 10 maggio 2004 a colpi di kalashnikov e pistola calibro 38, è stato condannato in un secondo processo d’Appello, nel 2012, il genero di Nicolino Grande Aracri, Giovanni Abramo.
Mentre nell’operazione Kyterion II, scattata in Calabria nel gennaio 2016, emergerebbero i nomi di “mano di gomma” e del fratello, Ernesto Grande Aracri, come mandanti. Nicolino Grande Aracri, da killer al soldo del boss Antonio Dragone è dunque riuscito, in pochissimi anni, a diventare il capo indiscusso della cosca più potente dell’Emilia Romagna. E lo ha fatto con astuzia, ingegno, circondandosi di uomini di fiducia operanti a Modena, Piacenza, Reggio Emilia, Bologna, Verona, Mantova, Brescia, Parma, Cremona.
Lo ha fatto, paradossalmente, rimanendo a Cutro (provincia di Crotone), ribadendo l’importanza della casa madre, da cui tutto doveva passare e passava. Un modus operandi basato sulla “delega”, sul coordinamento di forze, su un passaparola che da Cutro partiva e a Cutro doveva finire.
Una piena autonomia, quella di mano di gomma, raggiunta prima in Calabria e poi in Emilia Romagna, territorio ideale per portare avanti affari, tessere legami, corrompere, minacciare, estorcere in tutta tranquillità nonostante le numerose indagini e gli innumerevoli processi che, già nei primi anni 2000, stavano in qualche modo cercando di dare un volto alla ndrangheta emiliana: “Grande Drago”, “Scacco matto”, “Edipiovra”, “Pandora”, tutte operazioni che svelano la presenza di un gruppo criminale capace di radicarsi nel tessuto economico e sociale emiliano.
Ma ce n’è una, di operazione, più recente e più importante, che fa emergere presunti tentativi da parte di Nicolino Grande Aracri di collegarsi ad esponenti del Vaticano e della Corte di Cassazione, nonché l'intrusione in ordini massonici e cavalierati: l’operazione Kyterion, condotta dai carabinieri di Crotone. Da tutti questi processi, indagini, operazioni emerge un dato fondamentale: la capacità di Nicolino Grande Aracri di diventare una garanzia, un biglietto da visita, un semplice marchio con cui presentarsi da imprenditori, politici, funzionari, amministratori, professionisti.
Un boss che c’è pur non essendo presente, un potere enorme ma difficilmente percepibile ad occhio nudo. Bisogna andare in profondità per capirne l’essenza, o forse basterebbe semplicemente soffermarsi sulle parole della commercialista bolognese Roberta Tattini (imputata nel processo Aemilia e condannata in primo grado con rito abbreviato a 8 anni e 8 mesi) la quale ha descritto come un “onore aver conosciuto il sanguinario”.
Un boss vecchio stampo, dunque: non con la coppola e la lupara, ma un boss silente ma onnipresente, lontano fisicamente dall’Emilia Romagna, ma colonizzatore, grazie alla presenza dei suoi emissari, del territorio emiliano.
L’ex sindaco di Brescello (primo comune della regione sciolto per mafia), Marcello Coffrini, ha descritto in una famosa intervista il fratello del boss, Francesco Grande Aracri, anche lui condannato per il reato di associazione di stampo mafioso, come un uomo educato che ha sempre vissuto a basso livello. Probabilmente l’essenza è qui, nel silenzio che diventa assenso, nell’invisibilità che diviene presenza costante. Nicolino Grande Aracri ha giocato bene le sue carte, si è servito degli uomini giusti, ha bussato alle giuste porte. Ma adesso "man ‘e gomma" è in carcere e la sua cosca è protagonista del più importante processo in Emilia Romagna.

Mafie - Da un'idea di Attilio Bolzoni

Tratto da: mafie.blogautore.repubblica.it

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