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cusimano salvatoredi Salvatore Cusimano
Se chiedete a quelli della mia età di dirvi di rivivere il momento in cui ha appreso della strage di Capaci non avranno esitazione a riferirvi con chi si trovassero e cosa stessero facendo.
Ad ogni anniversario sui social c’è sempre chi dà fondo ai suoi ricordi.
Io non so dirvi dove mi trovassi e con chi fossi. Forse ero a casa, con mia moglie in un sabato pomeriggio libero dopo una settimana di lavoro intenso come lo era quello dei cronisti a quell’epoca.
Se un giudice mi convocasse farei la figura dello smemorato.
I miei ricordi di quella giornata sono legati solo e esclusivamente alla prima notizia ricevuta, alla mia corsa verso la Rai, agli sguardi disperati dei colleghi che con me condividevano speranze e preoccupazioni anche per la sorte di Giovanni Falcone e della lotta alla mafia. La memoria ti protegge facendo scolorire i ricordi più dolorosi.
Mi ritrovai in studio per una diretta passata alla storia con le immagini del magnifico Marco Sacchi che pagò di tasca sua cinquanta mila lire a un ragazzo perché lo portasse con la Vespa sul luogo del massacro, superando lo sbarramento che impediva l’accesso all’autostrada. Le sue riprese grezze, un flusso di coscienza televisivo, neppure montate vennero inviate a tutte le testate e, attraverso i circuiti internazionali, a tutto il mondo che voleva sapere e vedere, incredulo, che la mafia, ma forse non solo la mafia, avesse osato tanto.
In studio attesi per un bel po’ che fosse dato il via all’edizione straordinaria. Era in corso una trasmissione di grande successo, Scommettiamo che, con Fabrizio Frizzi. Si seppe dopo che nei piani alti di viale Mazzini ci si interrogò molto sull’opportunità di interrompere la normale programmazione. Si temeva un effetto devastante sulla coscienza degli italiani.
Era un'Italia in preda a una crisi di nervi, con le elezioni del nuovo Capo dello Stato ancora incerte e con i partiti in ginocchio dopo lo tsunami di Tangentopoli. La strage sarebbe stata una scossa definitiva al vecchio sistema e in molti, non solo in Rai, ma nel paese temevano per il proprio futuro.
Finalmente arrivò il via libera. Angela Buttiglione, allora conduttrice dell’edizione delle 20 del Tg1, si collegò con Palermo e mi diede la linea. Ero emozionato e stordito. Nella mente si affollavano mille domande, infuocate dalle poche parole che avevo potuto scambiare con alcuni dei miei colleghi più cari che non si fermavano mai alla superficie delle cose. Allo stesso tempo c’era la concitazione per sapere qualcosa di Francesca Morvillo, ancora in vita nel momento in cui sono entrato in studio.
Enrico Deaglio nel suo Patria ricorda quella diretta e sottolinea che nella mia cronaca improvvisata, a braccio, io già segnalassi la rivendicazione della Falange Armata. Un accenno. Non c’era stato modo di approfondire perché la linea doveva tornare alla rete per il proseguimento delle trasmissioni. A me sembrò un'assurdità. Il Paese voleva sapere, avevamo minuti e minuti di immagini drammatiche e invece  si doveva tornare all’intrattenimento, alimentando una idea di normalità che era saltata in aria con la carreggiata dell’autostrada.
I giorni successivi furono frenetici. Alla ricerca di fonti affidabili in un momento in cui le partite aperte erano troppe e i giocatori non erano tutti trasparenti. E poi c’erano quelle domande ossessive. Una potenza di fuoco di quelle dimensioni poteva avere solo una matrice  mafiosa? E chi aveva coperto i preparativi? Chi aveva deciso che fosse arrivato il momento di saldare conti antichi, aperti  almeno a 7 anni prima, all’inizio delle collaborazioni dei primi  “pentiti”? Quanti “menti raffinatissime” c’erano dietro “l’attentatuni”.
Qualche ipotesi si è potuta avanzare solo nella seconda decade del secolo successivo. Con l’emersione di tanti soggetti che con la mafia hanno sempre dialogato: Gladio (e dopo la  sua messa al bando) la Falange armata. Agenti di un potere criminale quanto quello delle”coppole” che ha assicurato a suo modo il mantenimento dello status quo nel nostro Paese all’interno di uno scenario internazionale in cui il cambiamento politico era considerato rischioso per gli equilibri fra i blocchi. Un esercito che dopo la “discovery” di Gladio era allo sbando, senza più né missione né finanziamenti e che quindi cercava di accreditarsi e mantenere il ruolo di “stabilizzatori” a suon di bombe, delitti mirati, campagne di disinformazione, anche in vista dell’assetto politico istituzionale che da li a poco si sarebbe determinato con la nuova tornata elettorale.
Quelle organizzazioni hanno dialogato e usato la mafia,  hanno garantito ampi margini di impunità in cambio del sostegno alla politica della conservazione. Falcone, Borsellino e i magistrati del pool si ritrovarono a indagare  proprio in questa fase di crisi. Uomini onesti fra tanti burattini e burattinai. La loro sorte era segnata e solo un Paese diverso avrebbe potuto salvarli.

"Mafie - da un'idea di Attilio Bolzoni"

Tratto da: mafie.blogautore.repubblica.it

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