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di matteo c giorgio barbagallo ct 2012di Giuseppe Lo Bianco
Il pm antimafia Nino Di Matteo e la proposta presentata con Antonio Ingroia: “Sarebbe come la Rognoni-La Torre del 1982”

Il ddl che estende la normativa antimafia sulla confisca di beni ai corrotti? “Un terremoto, sono convinto che l’approvazione segnerebbe un momento di svolta nella lotta al sistema criminale integrato come fu epocale l’approvazione della legge La Torre del 1982”. Sfidando inevitabili polemiche sul presenzialismo dei magistrati, il pm Nino Di Matteo ha aderito all’invito del suo ex collega di Dda Antonio Ingroia partecipando venerdi scorso a Palermo all’iniziativa organizzata dal leader di Azione Civile, promotore insieme al figlio di Pio La Torre, del disegno di legge. Lo abbiamo intervistato.

Dottor Di Matteo, perché “un terremoto”?
Perché segnerebbe un momento di svolta allo stesso modo in cui segnò una svolta epocale l’approvazione della legge La Torre del 1982: dalle intercettazioni sappiamo che le ossessioni costanti dei boss erano quelle di abolire o attenuare quell’impianto normativo. Ed era una delle condizioni che Salvatore Riina poneva attraverso il papello per far finire le stragi insieme all’abolizione dell’ergastolo. Per il sistema della corruzione e per la gestione lobbistica del potere questa legge costituirebbe un terremoto capace di sovvertire delicati equilibri criminali fondati sulla garanzia di impunità e sulla valutazione dei costi benefici rischi che fa pendere la bilancia a vantaggio della scelta corruttiva.

Il caso Saguto è la spia che le misure di prevenzione non godono di buona salute...
Oggi c’è un tentativo di rivedere al ribasso il sistema delle misure di prevenzione patrimoniali sfruttando abilmente le incrostazioni del sistema che pure devono essere individuate e colpite. Ma ciò non deve costituire lo strumento per depotenziare l’arma delle indagini antimafia.

Al convegno ha attaccato Renzi (“ha discusso con Berlusconi di come riformare la Costituzione”) e ha citato l’esempio di La Torre come protagonista di una politica “davvero antimafiosa” perché faceva i nomi dei politici alleati dei corleonesi prima che finissero nei rapporti giudiziari. E ha aggiunto che la memoria di La Torre oggi “viene continuamente nei fatti mortificata dalla classe politica, anche da quella che milita nei partiti che sono nati dal vecchio Pci”. Il riferimento al Pd è abbastanza chiaro, secondo lei c’è da attendersi un sostegno tiepido al ddl Ingroia-La Torre?
Oggi quel concetto alto della politica è stato totalmente tradito. Sul sostegno a questo progetto di legge si gioca l’ennesima occasione di riscatto di un ceto politico che ha bisogno di riacquistare credibilità e autorevolezza cominciando a privilegiare l’onestà.

Sul ddl in discussione al Senato i suoi colleghi Ilda Boccassini e Franco Roberti hanno espresso perplessità...
Non ho avuto modo di analizzare i rilievi dei colleghi e non mi pronuncio nello specifico, ma resto convinto che estendere la disciplina sulle misure di prevenzione patrimoniali anche ai corrotti segnerebbe una svolta di eccezionale portata.

La sua presenza al convegno ha riacceso prevedibili polemiche. Perché ha deciso di partecipare?
Perché si commemorava Pio La Torre, e perché Antonio Ingroia è un amico, ha dimostrato che esiste una magistratura coraggiosa, indipendente capace di esercitare un controllo di legalità a 360 gradi ma è soprattutto un uomo consapevole che la democrazia non si può veramente realizzare senza una liberazione dalle mafie, anzi dalla mentalità mafiosa, da un sistema di illegalità diffusa a tutti i livelli che sta corrodendo come un cancro il nostro Paese.

Nel suo intervento ha ripetuto l’apprezzamento al codice etico dei 5 Stelle. Non teme nuove polemiche?
Quando una forza politica pone il problema di distinguere tra responsabilità politica e responsabilità penale e lo impone ai propri iscritti fa venir meno l’automatismo illogico tra il progredire dell’azione giudiziaria e eventuali provvedimenti di tipo politico che spesso ha costituito per i partiti l’alibi per non fa pulizia al loro interno. E a tutto ciò bisogna guardare positivamente.

Da La Torre a La Torre, dunque. Trentacinque anni dopo abbiamo ancora bisogno di lui. Ma secondo lei, che da pm ha condotto le indagini su quel delitto, è stato ucciso per la sua legge?
È riduttivo ritenere che sia stato ucciso soltanto perché promotore di quella importantissima legge. Dalle sentenze di questi anni sulle stragi e sugli omicidi eccellenti emergono tantissimi elementi concreti per ritenere che possono avere avuto e probabilmente hanno avuto un ruolo altri ambienti e altri soggetti che della mafia non facevano parte, ma che con la mafia condividevano interessi criminali come emerge anche da alcune indagini in corso il cui progredire è lasciato con sempre più malcelato fastidio sulle spalle di pochissimi magistrati e pochissimi investigatori.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

Foto © Giorgio Barbagallo

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