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il sangue non si lavadi Fabrizio Capecelatro
Riportiamo di seguito un estratto del capitolo XXV, con la ricostruzione del traffico illecito dei rifiuti del clan dei Casalesi.

Fino al 1989 il clan si era limitato a chiedere il pizzo sia alle società che avevano l’incarico di raccogliere i rifiuti urbani dai comuni della provincia di Caserta o da altri enti, come gli ospedali, sia alle discariche che legalmente ritiravano e smaltivano questi rifiuti, così come faceva per qualsiasi altra attività remunerativa che si svolgeva nella zona.
Nell’‘89 poi, l’avvocato Cipriano Chianese, che era un caro amico di Cicciotto già da molti anni, gli spiegò il business dei rifiuti, sia urbani che tossici, provenienti da molte regioni del Nord Italia, che oramai iniziavano a essere sature e quindi non sapevano più dove smaltirli.
Si trattava di prendere i rifiuti dalle aziende del Nord, sia quelle che si occupavano della raccolta dei solidi urbani, avendo quindi l’appalto con le amministrazioni comunali, sia con le aziende che avevano rifiuti industriali da smaltire, e portarli al Sud, dove poi sarebbero stati sotterrati nelle cave.
In un primo momento questi rifiuti venivano seppelliti nelle discariche legali, che avrebbero dovuto accogliere soltanto quelli solidi urbani campani, ma, con il passare del tempo, queste, benché fossero profonde anche fino a 50 metri, iniziarono a riempirsi prima del tempo, visto che stavano accogliendo molti più rifiuti di quelli previsti.
Fu così che iniziammo a versare i rifiuti, inizialmente soprattutto quelli solidi urbani, anche in cave abusive, ovvero in quegli scavi che sempre imprese a noi collegate, avevano realizzato già dai primi anni ‘80 per prelevare il terreno per costruire le superstrade, ad esempio quella fra Nola e Villa Literno, o il tufo per i Regi Lagni.
Nel frattempo che le cave si riempivano, i cavaioli iniziarono anche a proporre ai contadini i rifiuti tossici, che noi chiamavamo “fanghi”, come concime per il terreno. E, quindi, i contadini venivano doppiamente truffati: da un lato mischiavano con il loro terreno materiale tossico, che veniva sparso e poi arato per essere meglio mescolato, dall’altro lo pagavano come concime.
All’epoca, che il clan dei Casalesi era ancora ben organizzato e strutturato, faceva infatti in modo di nascondere bene questi rifiuti per non attirare l’attenzione dell’opinione pubblica: solo successivamente le nuove generazioni, meno organizzate e strutturate di noi, hanno iniziato a sversare questi rifiuti un po’ ovunque e, così facendo, l’attività è diventata ben più evidente e ha quindi attirato più facilmente le indagini e le attenzioni dei media.
Nel 1989 Cicciotto decise di creare una società, denominata “Ecologia ‘89”, intestata a Gaetano Cerci, che controllava tutti i rifiuti che finivano nelle discariche di Cipriano Chianese e Gaetano Vassallo, i quali, con le loro società, li portavano dal Nord. In questo modo Chianese e Vassallo lasciavano al clan la percentuale che gli spettava: “Ecologia ‘89” venne creata proprio per controllare meglio i quantitativi di spazzatura, in modo da non perdere neanche un centesimo di pizzo e per renderlo perfino legale. Le società di Vassallo e Chianese potevano infatti mettere a bilancio il pagamento a “Ecologia ‘89” con un qualsiasi pretesto.
Intanto, Gaetano Cerci, con i fratelli Roma, iniziò anche a prendere commissioni per il trasferimento dei rifiuti e lo smaltimento anche direttamente per conto di “Ecologia ‘89”. In quel caso, se i rifiuti venivano effettivamente smaltiti nelle discariche di Chianese e Vassallo una parte del nostro guadagno andava a loro, ma nella maggior parte dei casi loro facevano soltanto la fattura in modo che figurasse l’effettivo smaltimento e in realtà andavano nelle cave abusive.
Una volta, nei primi anni ‘90, andai anche io con Gaetano Cerci ed Elio Roma, a Milano per trattare con alcuni imprenditori lombardi lo smaltimento dei loro rifiuti: alcuni di loro avevano l’appalto per la raccolta dei rifiuti solidi urbani con amministrazioni comunali locali. Lì capii che in realtà gli imprenditori facevano soltanto finta di non sapere con chi trattavano il trasporto e lo smaltimento di questi rifiuti, perché gli conveniva, visto che risparmiavano fra il 30 e il 40% rispetto a quello che avrebbero dovuto pagare smaltendoli legalmente. Poche lire risparmiate su ogni chilo di spazzatura diventavano poi miliardi sui grandi quantitativi.
Circa 70 lire al chilo andavano, infatti, alla cava, quando smaltivamo i rifiuti nelle cave regolari, altrimenti anche quei soldi restavano nelle casse del clan. Circa 60 lire al chilo li prendeva il trasportatore, che in un viaggio riusciva a spostare fino a 300 quintali di spazzatura, ma la maggior parte delle volte se ne occupava la società di trasporti dei fratelli Roma e quindi comunque collegata alla nostra organizzazione.
Gli imprenditori, invece, ci pagavano fra le 180 e le 220 lire al chilo e, quindi, nel migliore dei casi, ovvero quelli in cui questi rifiuti venivano effettivamente smaltiti nelle discariche regolari, “Ecologia ‘89” guadagnava fra le 50 e le 90 lire al chilo. Se, invece, venivano sotterrati nelle cave abusive il nostro guadagno arrivava anche a 160 lire al chilo.
Ogni notte, dal lunedì al venerdì, si facevano dai 20 ai 30 viaggi e quindi si portavano fino a novemila quintali di monnezza al giorno. Se, quindi, guadagnavamo soltanto una media di 70 lire al chilo, dando i rifiuti alle discariche regolari, incassavamo fino a circa 63 milioni a notte; se invece li smaltivamo nelle nostre discariche abusive arrivavamo a incassare anche 126 milioni a notte. Ovvero quasi 2 miliardi e mezzo al mese.
Lo smaltimento illecito dei rifiuti era una vera e propria miniera d’oro, meglio della droga e delle estorsioni. E per tanti anni fu un business di cui ci occupammo soltanto noi Bidognetti, senza neanche gli Schiavone.

*"Il sangue non si lava. Il clan dei casalesi raccontato da Domenico Bidognetti" Abe Editore

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