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ingroia c paolo bassani 2015 2di Alessandra Ziniti
«Questa è una riforma pasticciata e pericolosa, ben diversa dai propositi che annuncia e che potrebbero essere condivisi come il taglio dei costi della politica».

Antonio Ingroia, giudizio netto da ex magistrato paladino della Costituzione?
«Un no deciso a una riforma che anzitutto presenta un pericolo reale di espropriazione del potere tolto al popolo e consegnato nelle mani delle lobby economiche. Una riforma che vuole consacrare la sempre maggiore apatia politica dei cittadini concentrando tutto nelle mani di un uomo solo, che sarebbe poi il segretario del partito di maggioranza (che è in realtà di minoranza, vista la legge elettorale vigente). Un uomo solo che in quanto tale è più condizionabile dai poteri e dalle lobby. Questo è un rischio reale per la nostra democrazia».

La legge elettorale, dunque, anche per lei è strettamente connessa al voto referendario. Non crede all’impegno di Renzi a modificarla?
«Non possiamo ragionare su un’ipotetica disponibilità di Renzi a cambiare, ma sulla legge elettorale vigente che consegna il potere legislativo ed esecutivo a un uomo solo. E questa riforma è più pericolosa di quella di Berlusconi che era di tipo presidenziale e alla luce del sole. Questa è una riforma camuffata: formalmente non vengono rafforzati i poteri del capo del governo, ma quelli del leader del partito che ha vinto le elezioni».

Torniamo al merito del referendum che la vede impegnata sul fronte del No anche con il suo libro “Dalla parte della Costituzione”. Perché definisce pasticciata la riforma del Senato?
«Anzitutto bisogna dire che il taglio dei costi sbandierato da Renzi è un trucco. Non si tratta affatto di 500 milioni di euro, ma di 47-48 milioni in tutto, perché il Senato non è affatto abolito: la macchina resta in piedi, c’è solo una riduzione del numero dei senatori che, stando ai conti fatti, si riduce a un risparmio di un euro per ogni italiano».

Almeno dovrebbe sveltirsi l’iter di approvazione delle leggi.
«Ma neanche per sogno. È un bicameralismo zoppo che si può trasformare in paralisi, visto che il meccanismo di attribuzione delle materie è più complicato di prima e dunque potrebbero prefigurarsi conflitti di competenze, peraltro fra due Camere a maggioranza variabile».

E cioé?
«Facciamo un esempio. Se passasse il Sì, oggi ci ritroveremmo con un Senato a maggioranza pd, visto che i Consigli regionali in Italia presentano una maggioranza di quel partito. Se si votasse domani, stando ai sondaggi, invece alla Camera avremmo una maggioranza del M5S che, a questo punto, andrebbe sicuramente incontro all’ostruzionismo dell’altra Camera».

Cosa risponde a chi dice che funziona così in tutti i Parlamenti europei?
«Non è vero neanche questo. In Francia, ad esempio, il cittadino vota i grandi elettori, quelli eletti per eleggere, e dunque partecipa in qualche modo alla scelta. Qui chi vota per i Consigli regionali non pensa proprio che poi se ne ritroverà alcuni al Senato. A parte poi il piccolo particolare dell’immunità...».

E qui torna fuori l’anima dell’ex pm.
«È un fatto anche questo. L’immunità parlamentare regalata sulla base di orientamenti in seno ai partiti e, considerato l’alto tasso di indagati nei nostri Consigli regionali, tra questi e i sindaci part time c’è poco da stare allegri».

Tratto da: La Repubblica

Foto © Paolo Bassani

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