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gratteri nicola c silvia moraradi Graziella Nano
Nicola Gratteri ha il carattere peggiore che si possa avere. Caparbio, ostinato, testardo, cocciuto, insistente, irremovibile, irragionevole, inflessibile, irriducibile, costante, puntiglioso, duro, incaponito, fissato, a volte anche scontroso e irritante. Ma ha una dote unica, che è la modestia. Questo lo mette nelle condizioni ideali per discutere di qualunque cosa e con chiunque. Gli consente di ricevere chiunque bussi alla sua porta, soprattutto i più deboli e più soli, e di ascoltarlo come se non esistesse nulla di più importante al mondo. Modestia e determinazione, insieme. Ma è proprio questa sua straordinaria capacità dell’ascolto, che fa oggi di Gratteri in Italia un’icona popolare. Amato, platealmente amato e ammirato, pubblicamente osannato e invidiato, guardato con rispetto quasi sacro da intere generazioni di giuristi, giudicato mai negativamente, considerato dalla folla anonima delle nostre città quasi un fratello più grande, e soprattutto additato e giudicato dai filosofi contemporanei come il vero grande innovatore del processo penale in Italia. E l’altra grande dote, che ha contribuito a fare di lui oggi un’icona popolare, è il coraggio straordinario delle sue idee, è questo senso della libertà personale che Gratteri non nasconde mai, anzi che sbandiera e racconta dovunque egli vada, questa fede assoluta nel diritto, questo suo vangelo personale che predica da quando era ancora studente in legge all’Università di Catania, questa sua sfrontata capacità di contraddire i potenti, e di mettere in berlina il “sistema politico”, sbattendo in faccia le mille porte che gli si sono aperte in questi anni e dietro le quali, coccolato e ricoperto di mille lusinghe, aveva probabilmente intravisto o subodorato lo spettro dell’inganno. Quando due anni fa Matteo Renzi gli propose di diventare Ministro della Giustizia Gratteri si prese una notte di tempo per riflettere, al mattino successivo gli rispose “sono pronto a farlo”. Ma “alle mie condizioni!”, ribadì a Renzi. In realtà nessuno meglio di lui sapeva che nessuno mai in Parlamento avrebbe accettato le “sue condizioni”. Alla fine si disse che a non volerlo era stato il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ma in realtà era il Sistema-Potere-Politica di questo Paese che non avrebbe mai potuto accettare l’idea di una “presenza estranea” come lui nel “cuore” del sistema, e soprattutto l’ingerenza diretta nella gestione della Res Pubblica di un magistrato scomodo, incontrollabile, ingestibile, puro cavallo di razza, e che per tutta la sua vita aveva dimostrato disprezzo palese e rabbia pubblica per il mondo della corruzione e del malaffare. Era chiaro a tutti che uno come lui avrebbe destabilizzato il “gioco delle parti”, destra-sinistra-centro, chi più ne ha più ne metta, e avrebbe disintegrato nel giro di pochi mesi i meccanismi collaudati e oleati del consociativismo e degli affari trasversali della politica. Uno così è meglio tenerlo lontano dai Palazzi del Potere. E così è stato. Il più felice, alla fine, ne sono certo, ne è stato proprio lui, che in realtà inseguiva altri progetti personali e altri sogni professionali. Ma è andata molto peggio quando qualcuno in Calabria pensò di proporgli di diventare il nuovo Governatore della Regione. Non solo disse “no, grazie”, ma spiegò il suo rifiuto netto con una battuta che la dice lunga sulla sua vita professionale: “Preferisco continuare a fare il mio mestiere perché è la sola cosa che credo di poter fare meglio”. Figlio della corporazione dalla testa ai piedi, ma nemico dichiarato delle correnti che in questi anni hanno trasformato l’immagine e anche il ruolo della magistratura italiana. Uno come lui potrebbe arrivare dovunque, se lo volesse potrebbe diventare senza problemi il segretario nazionale dell’Associazione Nazionale Magistrati, avrebbe anche un voto plebiscitario dicono al CSM, ma basta guardarlo discutere a Milano con Piercamillo Davigo, sulla riforma del processo penale, riforma che porta già oggi il suo nome e che legherà la nuova legge del Parlamento indissolubilmente e per sempre alla commissione di studio da lui presieduta, per cogliere in lui un carisma che va molto oltre l’incarico pubblico legato al suo nome. Gratteri ha un carisma che gli permette licenze mai consentite o permesse prima d’ora a nessun altro. E’ il caso della denuncia pesantissima che qualche settimana fa lo vede diretto protagonista, e che ha come obiettivo principale il futuro dei media in Italia: “La mafia -si lascia sfuggire Gratteri- ha deciso oggi di investire i suoi enormi capitali anche nell’acquisizione di quote societarie dei grandi circuiti televisivi, dei grandi network privati, dei giornali e delle TV più influenti del Paese”. Come dire, la mafia ha deciso di controllare e condizionare anche le coscienze popolari di un Paese civile come il nostro. Ma sarebbe la morte della democrazia. Ma è proprio di queste ultime settimane anche un’altra denuncia coraggiosissima, questa volta diretta da lui contro i vertici della burocrazia regionale in Calabria. La mafia? Attenti a non sottovalutare il mondo dei grandi burocrati regionali, perché la mafia - spiega sorridendo Gratteri al Capo Redattore del TG regionale della Rai Alfonso Samengo- è una piovra che ha assediato anche il cuore vero del potere amministrativo regionale. La mafia, insomma, ci spiega Gratteri, non è più fatta di coppole e lupara come per anni si è immaginato questo fenomeno, ma questa volta è sostanzialmente caratterizzata dalla presenza e dalla volontà di manager e burocrati pubblici di alto lignaggio. Analisi, denunce e verità pesantissime, a cui però nessuno avrà mai il coraggio di rispondere o di controbattere. Questo non fa che accrescere sempre di più il suo carisma e la sua autorità morale. Ma questo fa di lui anche una sorta di profeta laico, di maestro di vita, di saggio del paese, un uomo a cui affideresti senza nessun dubbio o problema di sorta la tua vita, qualunque sia il risultato finale. Ma a proposito di carisma morale: il mese scorso sono andato a sentirlo ad un convegno forense organizzato a Roma dall’Università Sapienza. Il primo ad arrivare è lui, ma non ha più il tempo di salutare nessuno. Per tutta la mattinata le televisioni di mezzo mondo si sono messe in fila per poterlo intervistare. Un inviato dopo l’altro, un interprete dopo l’altro, una telecamera digitale dopo l’altra, una sorta di grande circo mediatico con un solo “re” riconosciuto, lui. Persino il Ministro Andrea Orlando rispetto a lui, quella mattina, sembrava uno sprovveduto studente alle prime armi, ma è stato altrettanto così per decine di giuristi famosissimi, i direttori delle scuole giuridiche delle più importanti Università Italiane, che quel giorno alla Cassa Forense di Roma erano venuti appositamente per incontrare lui e soprattutto per sentire quali sarebbero state le linee guida del nuovo processo penale. Un clima e una situazione complessiva, devo dire, per certi versi anche imbarazzante. Ma lui è il primo a minimizzare la sua funzione e il suo peso professionale. Saluta tutti con estrema cordialità, anche quelli che non conosce, che vede qui per la prima volta, stringe la mano a chiunque gli si avvicini, e spesso dimenticandosi di essere fuori casa continua a dare a tutti del “voi”, anziché del “lei”. Lo fa persino con professori e alti magistrati che vengono dal Nord e che per cultura propria non sempre sanno cosa significhi il “voi” con cui lui risponde loro. Ma è anche questo il segno palpabile e concreto di una calabresità volutamente manifestata, dichiarata, ostentata, mai taciuta, di cui Nicola Gratteri va persino fiero, e di un senso del meridionalismo più classico di cui lui stesso si sente profondamente figlio naturale, e a cui sente di appartenere fino in fondo. Se fosse nato e cresciuto a New York oggi Nicola Gratteri negli States sarebbe molto più famoso di quanto non lo sia stato a suo tempo Rudolph William Louis Giuliani, che all’età di appena 27 anni era già diventato Procuratore Distrettuale a Manhattan, e subito dopo assistente personale dell’allora Vice Ministro della Giustizia a Washington, l’uomo che nel 1983 il Presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan aveva fortemente voluto Procuratore Federale del South District di New York, e che subito dopo poi diventerà amico personale di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nella grande caccia alla mafia che aveva infestato l’America. Ma tutto questo Rudy Giuliani lo capì da solo, immediatamente, nello stesso istante in cui Nicola Gratteri fece per la prima volta il suo ingresso nel suo studio personale a New York, per porre a lui, allora poliziotto più potente d’America in tutti i sensi, il grande problema della ‘Ndrangheta, che era sbarcata in America dopo Cosa Nostra, e che oggi -ripete Nicola Gratteri- condiziona e governa anche la vecchia Cupola di Cosa Nostra. Ma non a caso Rudolph Giuliani considerò Nicola Gratteri, in ogni occasione di incontro e di confronto con lui, un “ospite italiano eccellente” e soprattutto una sorta di “eroe moderno dell’antimafia”, più di quanto non lo fosse sembrato agli americani Giovanni Falcone, ma Gratteri arrivò a New York con un dossier riservato e personale, così documentato, che dimostrò e spiegò ai vertici del FBI e ai consulenti della CIA come anche a New York “molte cose fossero cambiate rispetto ai tempi di Giovanni Falcone, e come sarebbe stato fondamentale seguire e processare i nuovi emissari della Ndrangheta calabrese, che nel frattempo avevano soppiantato i vecchi Capi di Cosa Nostra siciliana”. E’davvero tempo perso sperare oggi di farsi raccontare da Nicola Gratteri delle sue lunghe chiacchierate con Rudy Giuliani, se glielo chiedi lui fa finta di non aver sentito la domanda, e se insisti prima ti sorride, poi ti lascia capire che è roba top secret. “Un genio giuridico”, dicono di lui al CSM, dopo aver letto le modifiche del nuovo Processo Penale. “Un magistrato tutto d’un pezzo” commentano invece i suoi vecchi amici e compagni di lavoro alla Procura Distrettuale di Reggio Calabria, dove Gratteri in tutti questi anni, insieme a Giuseppe Pignatone prima, e a Federico Cafiero De Raho dopo, è stato la punta di diamante delle mille inchieste contro il malaffare e il crimine organizzato. Un “Uomo al servizio dello Stato” si lascia sfuggire il Ministro della Giustizia Andrea Orlando, “un servitore fedele e integerrimo della Repubblica”. Basta guardarlo in faccia Nicola Gratteri, per capire che viene dalla Calabria. Non vorrei essere offensivo, o peggio ancora non vorrei apparire un seguace delle peggiori teorie Lombrosiane, ma la verità è che Nicola Gratteri, se tu lo guardi con attenzione capisci subito che è un meridionale, subito dopo capisci che viene dalla Calabria, e intuisci che di Calabria è impastato dalla testa ai piedi, e che la sua testa coniuga e pensa prima in calabrese, poi in italiano. Mai elegante, mai solenne, mai una cravatta giusta, mai un colore intonato, spesso e volentieri con la camicia aperta, la giacca sgualcita, i pantaloni che sembrano appesi alla vita, ma lui sarebbe così anche se lo vestisse Armani o Valentino, è lui che è così. A tutto nella sua vita ha badato, tranne che alla forma, allo stile, al look. Dovunque arriva è una sorta di vulcano silente, non sai mai cosa succederà, cosa dirà, con chi se la prenderà, contro chi punterà l’indice, e alla fine di ogni sua lezione, perché quando non fa il magistrato in un’aula di giustizia ormai incontra migliaia di ragazzi nelle scuole di mezza Europa, alla fine di ogni incontro la gente rimane affascinata, ammaliata, incantata. E’ successo persino quando usò toni durissimi e lanciò accuse pesantissime contro la “Chiesa del silenzio”, quella Chiesa che secondo lui in moltissime zone della Calabria ha fatto finta di ignorare che ci fosse un reale problema-Ndrangheta, la Chiesa di quei preti che hanno accettato le regole del gioco criminale, tacendo o favorendo il fenomeno della latitanza, la Chiesa di taluni Vescovi conniventi con le cattive tradizioni popolari, la Chiesa delle Congreghe dietro le quali spesso si muovono interessi e atteggiamenti malavitosi, la Chiesa dei conventi e dei Santuari dove spesso fanno sosta e riposano i boss della zona. Ne fa quasi una requisitoria, frontale come un macigno che rotola dalla montagna, senza perifrasi, senza mediazione alcuna, senza timore di poter essere smentito, soprattutto senza peli sulla lingua, affrontando il tema in maniera diretta e senza mai girarci intorno. Ma in questo caso lui va ancora molto oltre. Insieme ad un giornalista italoamericano bravissimo, che risponde al nome di Antonio Nicaso, butta giù una serie di appunti di lavoro, ne verrà fuori un libro di successo “Acqua Santissima, La Chiesa e la ‘Nfrangheta, Storia di potere, silenzi, assoluzioni”. Gratteri va riascoltare centinaia di intercettazioni telefoniche passate nel tempo per i suoi processi, rispolvera la memoria e le confidenze di qualche antico confidente di polizia, e alla fine con l’aiuto della sua esperienza personale vissuta e maturata tutta in Aspromonte tira fuori una storia che pareva essersi sopita negli anni, ma che dopo la sua nuova denuncia ridiventa pezzo fondamentale del racconto moderno sulla Ndrangheta. E’ la storia, per certi versa controversa ma anche affascinante insieme, del Santuario della Madonna di Polsi, dove un tempo si raccontava si riunisse, almeno una volta all’anno, il Grande Tribunale della Mafia, chiamato a giudicare delle colpe dei picciotti e degli uomini d’onore, e a comminare pene e assoluzioni. “Una storia più che mai vera, e quanto mai attuale”- avverte oggi Nicola Gratteri- perché a differenza di quanto molti vogliano farci credere, il Santuario di Polsi e la Festa della Montagna, che si celebra a Polsi i primi giorni di Settembre di ogni anno, restano ancora oggi il luogo ideale e impunito dove i boss della Ndrangheta, vecchi e nuovi possano ritrovarsi, rincontrarsi, e ridiscutere insieme dei problemi e del futuro della “famiglia” mafiosa. L’unica reazione contraria alla denuncia di Nicola Gratteri arriva, con tempi lunghissimi, e con i toni sfumati di un documento di non facile lettura, dalla Conferenza Episcopale Calabra, il Gotha dei Vescovi della Regione, che evidentemente non poteva più “stare in silenzio”, ma da cui si percepisce con assoluta nettezza la sensazione che anche i Vescovi avvertono, pesante, il dubbio che le parole di Gratteri nascondano temi e problematiche reali, talune di queste ancora più inconfessabili di quanto il giovane Procuratore Antimafia non abbia già fatto immaginare. La sfida tra lui e il Vaticano si smorza nel giro di qualche giorno, ma appare subito chiaro che Gratteri non è per nulla disposto a cedere e a rinunciare alle sue certezze. E anche per la Chiesa locale, la scelta migliore sarà la riscoperta del silenzio tombale. Uomo dal carattere ribelle, determinato, a volte anche irritante, ma Nicola Gratteri è fatto così, o lo accetti per come è fatto, o lo eviti. Quando qualche mese fa il Ministro di Grazia e Giustizia lo incontrò a Roma per discutere di cosa “lui avrebbe desiderato fare da grande?” Nicola Gratteri non ha esitato un solo momento a dire quello che pensava. Milano? No grazie! “Preferisco restare in campagna”. “Preferisco proseguire il mio lavoro là dove è incominciata la mia carriera di magistrato”, perché la Calabria per Nicola Gratteri, e questo lo si intuisce a pelle, è là dove nasce il grande Crimine Organizzato, ed è “là che tutto ritorna”. Per capirlo ci sono voluti decenni, da almeno trent’anni questo giovane magistrato di frontiera non fa che girovagare per il mondo. Non c’è paese dove egli non sia stato almeno per una volta, non c’è carcere di massima sicurezza che egli non abbia visitato, non c’è elemento di spicco della criminalità organizzata che egli non abbia interrogato o conosciuto, non c’è vicenda giudiziaria legata all’evoluzione strategica della Mafia calabrese che egli non conosca o non abbia approfondito. Di lui oggi si può dire con assoluta certezza che è il magistrato europeo che più conosce, e meglio di chiunque altro, il Pianeta Internazionale della ‘Ndrangheta, con lui siamo certamente ai massimi livelli della conoscenza specifica del fenomeno. Ma si può dire anche e che lui oggi è il solo in tutto il mondo in grado di spiegare ai grandi esperti internazionali di criminalità organizzata quale sia il peso reale della ‘Ndrangheta, e soprattutto quale sarà l’evoluzione futura della famiglia criminale calabrese. Continente dopo Continente, Stato dopo Stato, Regione dopo Regione, Paese dopo Paese, Villaggio dopo Villaggio, la sua è una conoscenza planetaria del fenomeno, acquisita sul campo in trent’anni di pura professione, pagando alla sua famiglia un tributo altissimo, fatto di troppe cose insieme: lontananze, assenze, solitudini, delusioni, attese, sogni amori e affetti inappagati, momenti di panico, stati d’animo negati, evitati, mai vissuti, immensi vuoti d’aria, scanditi soltanto dal tempo e da un lavoro infernale, soprattutto tensioni e paure reali. Una mattina qualcuno tenta di sequestrare suo figlio, studente universitario a Messina, ma lui è il primo a capire immediatamente che in realtà è solo un “avvertimento”, niente di più, un avvertimento, un biglietto da visita, non per il passato, ma per quello che sarà la sua vita futura, destinato lui infatti da appena qualche giorno, dal Consiglio Superiore della Magistratura, a guidare la Procura Generale di Catanzaro, città capoluogo di Regione e baricentro di enormi interessi mafiosi. E nessuno meglio di lui avrebbe mai potuto scrivere un libro così informato e completo sul traffico della cocaina nel mondo, “Oro Bianco”, proprio per la conoscenza diretta, personalissima, e articolata che solo lui ha avuto il privilegio di avere in tutti questi anni con il pianeta della polvere bianca. Nicola Gratteri, pensate, è l’unico magistrato in Europa che abbia conosciuto davvero, e dal di dentro, i Cartelli Messicani della Droga, ma è anche l’unico magistrato europeo abbia chiesto, e ottenuto, di farsi portare dagli elicotteri militari della Colombia sui grandi appezzamenti dove ogni giorno si coltiva la cocaina destinata ai grandi mercati internazionali della droga. Oggi Nicola Gratteri potrebbe tenere, lui da solo certamente, una serie infinite di lezioni universitarie sul ruolo e sulle attività criminali del Cartello di Medellin di Pablo Escobar, o anche sui Cartelli di Sinaloa, di Juárez, del Golfo, di Jalisco Nueva Generación, di Los Zetas, de La Línea Beltrán-Leyva Organization, de La Familia Michoacana , dello stesso Cartello di Tijuana o Los Caballeros Templarios, perché nessuno al mondo come lui, e meglio di lui, sa di cosa si parla. Ma è lo stesso se scendiamo verso Sud, verso l’ Argentina, dove lui arrivò per la prima volta quasi vent’anni fa, ancora giovanissimo, e dove i giornali locali ne parlarono per mesi. Proprio grazie a lui la polizia Argentina aveva finalmente scoperto, e tratto in arresto, i vertici di una organizzazione criminale che utilizzava il traffico di vecchie auto d’epoca, erano delle Ford T4 di colore rosso, per trasportare in maniera impunita quintali di cocaina dalla Pampas argentina nel resto del mondo. Per anni i trafficanti di droga, imbottendo di cocaina i sedili di queste auto, erano riusciti a guadagnare milioni e milioni di dollari, e nessuno mai a Buenos Aires se ne era mai accorto. E invece un giorno è arrivato lui, e ha dettato le regole basilari da seguire per evitare che questo traffico illecito potesse andare avanti ancora per altri anni ancora. Ci ha pensato lui, grazie forse a delle fonti confidenziali, che lo hanno portato direttamente nel cuore delle centrali dello smistamento della cocaina, gestite personalmente da calabresi trapiantati in Sud America, calabresi figli naturali della locride, insomma calabresi cresciuti come lui ai piedi dell’ Aspromonte e lungo le rive dello Ionio. Dopo l’Argentina sarà la volta dell’Europa Occidentale. Qui Nicola Gratteri scopre quello che neanche i migliori servizi di intelligence erano ancora riusciti a capire: che il traffico delle armi e della cocaina frutta al mondo organizzato del crimine milioni e milioni di lingotti d’oro, e questo proprio grazie ai rapporti che uomini della mafia calabrese erano riusciti a legare con i capi delle organizzazioni criminali di paesi come la Turchia, il Pakistan, l’Iran, l’Afghanistan, la stessa Vecchia Unione Sovietica. Parliamo -sottolinea Gratteri- di centinaia di milioni di dollari USA, che poi puntualmente ritornano alla terra di origine, appunto la Calabria, dove ancora vivono e comandano le vecchie famiglie mafiose di origine. La sua è stata nei fatti una vita infernale, è vero piena anche di enormi successi pubblici, forse insperati, ma frutto esclusivo di inchieste difficilissime e snervanti, il più delle volte solo indiziarie, di infinite trasvolate atlantiche, di viaggi clandestini e sconosciuti anche ai suoi più diretti superiori, di corse notturne a bordo di mezzi pesanti dell’esercito, di incontri riservati, di rapporti confidenziali, di soffiate assai puntuali e bene informate, di rischiosissime occasioni di confronto, di blitz notturni, di interrogatori e di sopralluoghi a volte anche borderline, ma se Gratteri non avesse seguito con tenacia il suo istinto e il suo fiuto, certamente non avremmo mai conosciuto la verità su una delle stragi più efferate di questi ultimi anni, quella di Duisburg in Germania, cuore più antico della Renania, alla confluenza del Reno e della Ruhr. Era esattamente il giorno di Ferragosto, il 15 agosto del 2007, quando alle due della notte un commando armato fa irruzione in un locale dove un’intera famiglia stava festeggiando il diciottesimo compleanno di uno dei ragazzi presenti. Dopo un’azione di guerriglia inaudita, almeno per la Germania, alla polizia tedesca non rimarrà che contare per terra i corpi di sei vittime. Sono tutti rigorosamente calabresi, rigorosamente tutti figli della Locride, gli Strangio di San Luca, i Pergola di Siderno, e di Corigliano era invece Tommaso Venturi, il giovane che quella sera stava festeggiando i suoi diciotto anni . Per mesi e mesi, i gruppi Speciali della Bundeskriminalamt cercheranno da dare un volto al commando che aveva seminato così tanto terrore e così tanti cadaveri in un colpo solo, ma inutilmente! La Polizia Tedesca brancola nel buio, persino i Servizi Segreti Tedeschi non sanno come dipanare il bandolo della matassa, appare complicatissima anche a loro, finché un giorno finalmente arriva dall’Italia questo giovane magistrato scamiciato, con la barba lunga e il collo della camicia evidentemente zuppo di sudore, e propone ai suoi colleghi di Duisburg di poter collaborare insieme. In effetti nessuno altro al mondo come lui conosceva la storia vera degli Strangio di San Luca, e delle stesse cosche mafiose della Locride che trasferitesi da San Luca in Germania per conquistare il mercato europeo della cocaina avevano di fatto ricostruito in Renania la cupola della Ndrangheta Aspromontana. Alla fine Gratteri vince su tutti i fronti. Traccia le sue conclusioni, trova le prove che cercava, dà un volto ai killers di quella notte, mette in piedi un processo veloce e dimostra al mondo intero che ancora una volta, anche a Duisburg, “siamo in presenza di una classica e vecchissima Faida di Mafia”. I tedeschi hanno grande difficoltà a capire il significato di quei termini, ma Nicola Gratteri è l’unico al mondo in grado di poter spiegare ai magistrati Tedeschi cosa sia diventata la Ndrangheta in Renania, e soprattutto cosa sia una faida di mafia, classicamente intesa: una interminabile scia di sangue legata alla vendetta atavica delle nostre terre. Ma tutto questo evidentemente è frutto di un lavoro a volte massacrante, improbo, pericolosissimo, insidioso, storia di un giudice ancora ragazzo e guardato a vista giorno e notte dai suoi segugi, che nella maggior parte dei casi sono poliziotti giovanissimi, servitori dello Stato come lui, uomini e donne che per lunghi anni hanno condiviso con lui paure e illusioni comuni, speranze e successi comuni, ma anche sconfitte e profondi dolori dell’anima. Soprattutto dolori dell’anima. Sigmund Freud li chiamerebbe forse in un altro modo, ma alla fine, non si illuda nessuno per favore!, ma dopo una vita blindata come la sua se ne esce fortemente sconfitti, perché se ti guardi alle spalle il più delle volte rischi di non trovare più nessuno che ti abbia saputo o voluto seguire, e se ti guardi davanti rischi invece di non trovare più nessuno disposto a ricominciare con te un cammino diverso dal passato. Immagino debba essere stata davvero una santa donna sua moglie, ma devono essere stati dei ragazzi straordinari anche i suoi figli, che ormai sono cresciuti, si sono fatti grandi, nonostante tutto, nonostante questo padre, così famoso all’estero ma mai presente a casa, nonostante questo “monumento del diritto” quasi sempre in televisione, ma mai nel salotto buono di casa propria a Gerace, nonostante le glorie di questo scrittore così geniale di libri di successo, ma sempre in giro per il mondo per raccontare, ma agli altri, la terribile “favola della Mafia Calabrese”. Oggi, proprio grazie a lui, la Ndrangheta non conosce segreti. Lo dico nel senso più bello del termine, perché non ha più segreti, perché lui Nicola Gratteri ha raccontato al mondo intero, e con la semplicità di un linguaggio modernissimo e accattivante, tutto ciò che la Ndrangheta è oggi diventata. Straordinariamente efficace è il racconto che Nicola Gratteri ci dà della potenza della mafia calabrese nel mondo: “ Mi viene in mente una conversazione tra due trafficanti di droga che avevano sotterrato duecentocinquanta miliardi di vecchie lire. Uno dei due racconta all’altro di averne dovuti buttare via quasi otto, gettati nel cestino della spazzatura come carta straccia, perché le banconote erano state aggredite dall’umidità del terreno, ma si intuiva benissimo che per nessuno di loro questo sarebbe però stato un problema”. E dopo un ennesimo sequestro di cocaina, la stessa persona commentava, sempre al telefono, e al suo referente, che i soldi vanno e vengono e che “per recuperare quello che ci è già stato sequestrato, la prossima volta basterà semplicemente raddoppiare il prossimo carico”. Il suo viaggio più lungo Nicola Gratteri lo fa in Messico, dal 2007 al 2009,percorre e attraversa il Paese in lungo e in largo, e scopre che solo in questi ultimi due anni i delitti legati al narcotraffico sono oltre undicimila ,“più del doppio rispetto al numero dei soldati americani uccisi in Afghanistan e in Iraq dal 2001. In Messico mi sono state fatte vedere fotografie che sembravano tratte da film dell’orrore, uomini decapitati e gettati ai bordi delle strade, teste impalate come feticci, e scritte lungo le strade di Nuevo Laredo e Reynosa che invitavano i poliziotti a disertare e a unirsi ai cartelli del narcotraffico”. Per non parlare dell’Australia, dove già trent’anni fa Nicola Gratteri scopre che le vere grandi centrali dello smistamento della droga era appannaggio esclusivo delle famiglie criminali calabresi che da Platì, Siderno, San Luca, Sant’Ilario, Monasterace, erano emigrate tra Sidney e Canberra, tra Melbourne e Perth, trasferendo nel nuovo Continente, assolutamente immutati e fedeli alle origini, usi, abitudini, consuetudini e costumi di vita lasciati in Calabria pria di partire. E già trent’ani fa Nicola Gratteri, andando e venendo dalla Calabria fin laggiù, mette in piedi una road maps del traffico internazionale della droga come nessun altro avrebbe mai saputo fare. Oggi, trent’anni dopo, nei dossier riservati della DIA, e trasmessi al Parlamento, si legge esattamente quello che Gratteri raccontava a noi allora giovani cronisti locali di quei suoi viaggi infiniti nel deserto e per le pianure assolate Australiane. Da allora tutto è rimasto esattamente come era, nomi, cognomi, situazioni, location, riferimenti temporali e geografici, semmai ai morti sono succeduti i più giovani, e nella maggior parte dei casi, ai vecchi pastori emigrati fin laggiù mezzo secolo fa oggi si sono alternati giovani avvocati, brillanti commercialisti, broker affermatissimi, e soprattutto grandi esperti di e-commerce e di scambi commerciali in rete. “E’ un’altra mafia rispetto a quella di allora”- dice Gratteri- ma oggi a comandare e a condizionare le sorti dell’economia interplanetaria è proprio la tipica mafia dei colletti bianchi, che bisogna andare a cercare e a stanare nei migliori studi legali e commerciali d’Australia o nei migliori studi legali di Sidney o di Melbourne. Il che ha reso la Ndrangheta molto più insidiosa e pericolosa di un tempo. Non vorrei sbagliare, ma io credo intimamente che Nicola Gratteri, del Crimine Organizzato Internazionale, oggi sappia molto di più di quanto finora egli stesso, insieme al suo copywriter Antonio Nicaso, non abbia scritto o raccontato pubblicamente agli altri. Ne intuisco anche le ragioni di fondo. Ma probabilmente, per un “pezzo importante dello Stato”, come lui in realtà è diventato, ci sono anche dettagli e sottigliezze che non sempre si possono raccontare in pubblico. Forse un giorno, magari da vecchio, prima o poi, avrà anche lui il coraggio di vuotare il grande sacco delle sue memorie e delle sue inchieste, e allora ne sapremo molto di più anche noi, e allora forse anche noi capiremo molto meglio il perché anche lui, oggi, abbia taciuto talune cose a tutti noi. Ma per un “Uomo di Stato “ esiste ancora una “Ragion di Stato”, come tale da tutelare e da difendere ad ogni costo, a costo anche della propria vita. E questa è l’unica giustificazione seria che potremmo immaginare e nutrire per lui, nel momento in cui dovessimo un giorno scoprire che non tutto ci ha raccontato. Oggi Nicola Gratteri è certamente è un numero-Uno della Storia di questo Paese. Come tale da difendere, da tutelare, da emulare…soprattutto da amare. Ogni qualvolta lo incontro vorrei corrergli incontro, mi piacerebbe abbracciarlo forte, e parlargli di mille cose diverse, raccontargli per esempio che mia nipote Beatrice, ormai quasi avvocato, ha appiccicato la pagina che gli ha dedicato qualche anno fa il Settimanale del Corriere della Sera alla porta della sua camera da letto con una dedizione e un senso del rispetto assolutamente inspiegabili, ma accade sempre che io come gli altri venga puntualmente bloccato dalla sua scorta, che lo segue come un’ombra, e che non consente deroghe per nessuno. Ma è giusto che sia così. Perchè “Un uomo di Stato” come lui va difeso. In tutti i modi possibili, senza “se” e senza “ma”…Buon Ferragosto Procuratore!

Tratto da: primapaginanews.it

Foto © Silvia Morara

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