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tranfaglia nicola bn c archiviodiaridi Nicola Tranfaglia
Nei giorni scorsi le cronache dei quotidiani più diffusi in Italia (e tra le quali purtroppo non c'è da tempo un giornale che si richiami a Gramsci e a Berlinguer) hanno dato notizia con spazio variabile, come sempre accade, di un'inchiesta dedicata a una delle più belle e disgraziate regioni della penisola, la Calabria, che chi scrive conosce non soltanto per esserci stato più volte anche da ragazzo ma anche perché mio padre, magistrato per tutta la vita, c'era nato e ritornato più volte anche per il suo lavoro di giudice. Ebbene proprio ieri un giornale con cui collaboro regolarmente come “Il Fatto Quotidiano” ha pubblicato un mio commento in cui ricordavo come la Commissione Antimafia presieduta dall'on. Rosy Bindi abbia chiesto e ottenuto il licenziamento di un dirigente del comune capoluogo, Marcello Cammera, che nel 2014 ha affidato 132 su 254 lavori edilizi importanti a Reggio Calabria con trattativa privata o affidamento diretto e il 52% è stato affidato ad imprese locali poi identificate come legate alla ‘Ndrangheta. I magistrati, impegnati in inchieste delicate come “Mammasantissima", hanno potuto verificare che le associazioni mafiose (come verificarono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino in Sicilia nei primi anni Novanta) lavorano insieme all'interno di un sistema integrato e circolare con enormi profitti che si sono tradotti in questi anni in decine e centinaia di miliardi di euro e che approfittano dei legami, che in quelle regioni ci sono, tra reti mafiose e reti massoniche e che hanno sempre avuto, e continuano ancora ad avere, a Roma i loro uomini e i loro punti di riferimento.
Il discorso potrebbe continuare e non c'è dubbio sul fatto che già all'inizio degli anni Cinquanta ci sono sentenze, custodite nei nostri archivi giudiziari, che mostrano la presenza di un sistema che è cresciuto ed ha per così dire accompagnato lo sviluppo economico del secondo dopoguerra e le nostre classi dirigenti politici mostrano più che mai oggi di non aver ancora preso atto di una simile paurosa realtà e di fronte a segnali impressionanti come quelli che ho citato e molti altri che potrebbero enumerarsi continuano a sottovalutare il fenomeno e a considerarlo come un problema secondario della nostra democrazia parlamentare a differenza di quello che accade - devo constatarlo - degli osservatori europei e americani che - quando mi capita di andare all'estero o di avere occasione di parlare con alcuni di loro - mostrano di aver compreso le difficoltà non ancora superate dal nostro amato Paese a più di centocinquant'anni dalla unificazione nazionale.
Una particolare cecità da parte della nostra classe politica che potremmo dover pagare in maniera spiacevole nei prossimi anni se non avremo governi adeguatamente consapevoli della centralità di un simile antico ma ancora più che mai attuale problema.

Foto © Archiviodiari

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