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borsellino paolo web0di Antonio Ingroia
Il 19 luglio, negli ultimi anni, è una data a cui, al lutto e al dolore per la morte di un maestro e amico, Paolo Borsellino, si sono aggiunto in me altri sentimenti, l'indignazione e la rabbia perché la ricerca della verità su quella strage, in cui morirono anche cinque fedeli servitori dello Stato, è sempre più difficile. Le istituzioni, quelle stesse istituzioni di cui ho fatto parte, con lealtà e senso del dovere fino a qualche anno fa, hanno deliberatamente deciso che sulle stragi del '92 e sulla trattativa tra lo Stato e la mafia, non dovessero emergere le vere responsabilità. I miei ex colleghi sono stati lasciati soli, isolati quando non denigrati, per il lavoro che stavano e stanno compiendo.

Sono le stesse istituzioni che lasciarono solo Paolo nelle sue ultime settimane di vita, nell'intervallo tra la morte di Giovanni Falcone e la sua e che avevano combattuto il pool antimafia quando i due magistrati erano ancora in vita, istituzioni dentro e fuori la magistratura. L'eredità di Paolo fu raccolta da quel manipolo di magistrati che cominciò a indagare con due obiettivi, la ricerca di giustizia e la lotta al potere mafioso. Fu così che vennero fuori prove di collusione tra criminalità organizzata e politica ai suoi massimi livelli. Fu così che si scoprì che lo Stato con la mafia aveva addirittura fatto dei patti, aveva trattato.

E invece lo Stato, o una parte di esso, ha alzato un muro che negli ultimi anni, proprio quando si era vicinissimi alla verità, è divenuto invalicabile. Ha isolato i magistrati, gli ha messo i bastoni tra le ruote in ogni modo, ad esempio imponendo il silenzio mediatico, addirittura, recentemente, "consigliando" ai magistrati del pool di Palermo di non intervenire in manifestazioni pubbliche, di sminuire il lavoro di magistrati come ha fatto per anni una parte della politica, con in testa l'ex presidente della Repubblica Napolitano, rieletto per un secondo mandato per il merito, oltre che di fare da garante per le richieste europee di odioso smantellamento dello Stato sociale, di ostacolare il processo sulla trattativa.

Certo, sulla trattativa avrebbe potuto fare luce Bernardo Provenzano, e c'è stato un momento, qualche anno fa, in cui sembrava che volesse collaborare. La colsi nell'ultimo interrogatorio a cui lo sottoposi, nel 2012. Ma a quel tentennamento, a quel quasi convincimento di raccontare la sua verità, pur forse senza pentirsi, seguirono strani accadimenti, una serie di cadute in carcere che lo hanno debilitato e condotto nel tempo alla morte di pochi giorni fa, quando ormai era poco più di un vegetale. Io sono certo che in molti hanno tirato un sospiro di sollievo alla notizia della sua morte.

Insomma, verità e giustizia sono oggi sempre più lontane e c'è un solo modo perché le manifestazioni negli anniversari in memoria di Falcone e Borsellino abbiano un senso. Creare un clima di sostegno a chi lavora per la ricerca la verità. Non isolarli. Ci sono troppe persone che chiedono giustizia, a cominciare dalle vittime innocenti di quelle stragi, i poliziotti della scorta, per finire alla famiglia dell'urologo Attilio Manca, ucciso con ogni probabilità perché aveva riconosciuto Provenzano quando fu costretto a curarlo prima che venisse operato in Francia alla prostata, e che indagini che definire sciatte è un complimento, hanno fatto passare per suicidio.
20 luglio 2016

Tratto da: huffingtonpost.it

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