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puglisi pino con cdi Piero Melati
Nel quartiere controllato dalla mafia di Brancaccio, a Palermo, un prete si oppose all'ingiustizia. E poi? Tutti litigano sulla sua eredità. E persino sul suo corpo beatificato.
Palermo. Si può fare a pezzi un santo? Racconta Francesco Puglisi, fratello del parroco di Brancaccio padre Pino Puglisi, ucciso dalla mafia il 15 settembre del 1993, beatificato dalla Chiesa il 25 maggio del 2013: «Hanno convocato noi parenti quando la salma è stata traslata dal cimitero alla cattedrale. Ci hanno detto che le sue reliquie erano richieste da tutto il mondo. Ho obiettato che si trattava di una usanza barbara. "Cosa farete, taglierete a pezzetti mio fratello e ve lo venderete?" ho chiesto. Allora si sono limitati. Ma qualche pezzetto lo hanno prelevato. Hanno tagliato le costole. Allora mio fratello maggiore è intervenuto. Ha detto: "Adesso basta". Non voglio criticare. Ma ho detto loro: "Se fosse vostro fratello, lo fareste tagliare a pezzetti?". In passato tutto questo è stato fatto con i parenti del santo ormai deceduti. Stavolta, purtroppo, noi eravamo vivi. Dunque, non potevano procedere senza permesso. Ma da allora ci hanno trattato come nemici. Forse le reliquie servivano a richiamare l'attenzione dei fedeli sulle opere di mio fratello. Ma ora seguire veramente il suo esempio significherebbe fare le cose, perché lui le cose le faceva per davvero».

Le reliquie. Le benedette reliquie del santo. Rosaria Cascio, insegnante, cresciuta nei gruppi giovanili di padre Puglisi, impegnata a divulgare le opere e i metodi del parroco di Brancaccio, batte lo stesso tasto: «Da un paio d'anni vengono mandate in giro per parrocchie. Io mi sono rifiutata di fare incontri in presenza delle reliquie. Perché? I bambini andavano a vederle solo per curiosità, le donne toccavano la teca con i fazzoletti di carta e poi li baciavano come fossero stati beatificati a loro volta, i fazzolettini di carta marca Tempo... queste sono usanze medioevali. La Chiesa vuole rinchiudere Puglisi in una teca come fosse una semplice reliquia. Non l'ha mai riportato a Brancaccio così come egli era stato da vivo. Una volta, nel quartiere Kalsa, mi sono ritrovata in chiesa con le reliquie di padre Puglisi, durante una messa celebrata da padre Mario Frittitta».

Frittitta è il carmelitano che venne arrestato, e dopo scarcerato, per aver celebrato una funzione per il boss allora latitante Pietro Aglieri, uno dei capi di Cosa Nostra, oggi all'ergastolo per le stragi di Capaci e via D'Amelio. Frittitta si era detto confortato dal fatto che il luogo ove aveva officiato fosse stipato non solo di «uomini d'onore» ma anche di volumi su Teresa d'Avila e San Giovanni della Croce.

Chiesa e Cosa Nostra. Rosario Giuè, prete palermitano, dottore in teologia, è stato per cinque anni parroco a Brancaccio prima che, nel 1990 (e dopo sei rifiuti), Puglisi accettasse la proposta del cardinale Salvatore Pappalardo di recarsi in terra di frontiera. Giuè entra nella centralissima libreria Brodway di Piero Onorato per acquistare l'ultimo Hans Küng. Ha appena dato alle stampe, per Cittadella editrice, il libro Vescovi e potere mafioso. «Nel mio libro non parlo solo di padre Puglisi, anche se ne parlo. Parlo della cornice. La questione del rapporto tra Chiesa e mafia è una ferita aperta. Fare di Puglisi un santo può essere un modo di esorcizzare la questione. La Chiesa ha così il suo martire. E allora don Peppe Diana, ucciso dalla camorra sei mesi dopo padre Puglisi, non lo è? Perché per lui non si è fatto altrettanto? Far baciare una teca con le reliquie è un modo di essere istituzione. Applicare il Vangelo in un territorio, come fecero Puglisi e Diana, è vero cambiamento. Portare in giro da due anni per parrocchie le reliquie di padre Puglisi è puro Medioevo, è essere una Chiesa che non sa stare nella modernità. Fabbricare santi, santini, martiri ed eroi è un altro modo per non fare nulla di concreto».

Si può fare a pezzi un santo? Si scopre, riavvolgendo la pellicola di questa brutta fiction, che l'affaire delle reliquie è solo un episodio. In mezzo, tra l'assassinio di Puglisi e il processo di beatificazione, ci sono altre tagliole. A padre Puglisi succede don Mario Golesano. Sotto il cardinale De Giorgi (successore di Pappalardo) resterà in carica a Brancaccio fino al 2008, quando il nuovo vescovo Paolo Romeo lo sostituirà con don Maurizio Francoforte. Dapprima Golesano litigherà con le suore e i collaboratori del predecessore, che andranno tutti via dal quartiere. Poi nasceranno dissapori con Maurizio Artale e Antonio Di Liberto, che lui stesso aveva messo al vertice del centro Padre Nostro, fondato a Brancaccio da padre Puglisi senza intenti di lucro e con l'impegno di non ricevere finanziamenti (come testimonia un incontro tra lo stesso Puglisi e il notaio Sergio Masi, ricostruito da Rosaria Cascio). Infine, Golesano diventerà consulente del presidente della Regione Salvatore Cuffaro, che ha appena finito di scontare 4 anni e 11 mesi per favoreggiamento aggravato, a favore del boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro. Nello stesso periodo, Di Liberto diventa consulente del sindaco forzista di Palermo Cammarata. Ma cosa era accaduto, nel frattempo? Lo stesso Cuffaro aveva dedicato un capitolo di bilancio della Regione al centro Padre Nostro (da 300 agli attuali 700 mila euro). «Così la politica si lava la coscienza, altro che la gratuità dell'impegno, uno dei valori centrali per padre Puglisi» spiega ancora Rosaria Cascio.

Ma il calvario non finisce qui. Scoppiano altri due casi. Il primo: nell'ottobre del 2010 Striscia la notizia rivela che don Golesano, oltre la coop Solaria e la neo Fondazione Puglisi, è stato socio di Live Europa, a fianco di Roberta Bontate, figlia del boss Giovanni, fratello di Stefano Bontate, il padrino della Cosa Nostra palermitana ucciso dal clan dei corleonesi nella guerra di mafia dell'81. La signora Roberta aveva versato alla società 40 milioni, frutto di un libretto del padre appena dissequestrato. E, denuncia sempre Striscia, la Fondazione Puglisi gestiva un fondo in via Magliocco confiscato proprio ai Bontate. Nell'intrigo salta fuori anche il nome dell'imprenditore Giuseppe Provenzano, legato a un prestanome di Matteo Messina Denaro.

Don Golesano reagisce: «Hanno fatto una caponata», rivendica i suoi 36 anni di specchiato sacerdozio e querela tutti. Ma intanto il Consiglio di giustizia amministrativa ribalta una precedente sentenza del Tar e restituisce al Comune i beni confiscati di Brancaccio.

Vi pare che basti? No, ci vogliono altri chiodi da aggiungere al martirio. Artale, presidente del centro Padre Nostro, e che intanto si è dissociato da Golesano, si vede muovere guerra dall'Arcivescovato. Quest'ultimo, infatti, rivendica la proprietà dell'edificio acquistato da padre Puglisi per aprire il centro Padre Nostro (tramite una lotteria, sulla quale Puglisi stesso pretese che si pagassero le regolari tasse sugli introiti). Artale è costretto ad aprire una nuova sede. E così si ripete il miracolo della moltiplicazione. Stavolta non dei pani e dei pesci, ma dei centri. Quelli fondati da padre Puglisi all'improvviso diventano due. Da allora, ogni anno, per l'anniversario della morte di Puglisi, si terranno due distinte manifestazioni.

Nel frattempo Artale acquista la casa abitata da padre Puglisi, davanti alla quale il parroco è stato ucciso, e la trasformerà in museo, riconosciuto dalla Regione. Speculazione? Artale ne ride: «Abbiamo subito 80 attentati in 22 anni. La mafia dice: ci siamo ancora. E noi diciamo: ci siamo pure noi. Un gioco delle parti. Ma noi siamo comunque rimasti sul territorio. La Curia, dopo anni di dimenticanza, pensa a costuire una nuova chiesa. Ma oggi, a che serve? I progetti per rilanciare il quartiere sono fermi. Di queste cose, all'inizio, parlavo tranquillamente con don Maurizio, ma poi il vescovo gli ha imposto il gelo. Sono loro che fanno solo catechismo e partite di pallone. E i bambini, le prostitute, i poveri? Noi gestiamo sette milioni di patrimonio. Ma al servizio di Brancaccio. I bilanci li mandiamo in Curia. Il denaro è crusca del demonio? E perché i soldi per altre cose in Curia non sono giudicati in egual modo? Perché oggi l'Amat ha messo il capolinea dei bus nel luogo del martirio di Puglisi? Noi avevamo liberato al culto quella piazza».

Padre Puglisi sfidò i potenti boss Graviano dentro il loro regno. Non temendo neppure quegli scantinati di via Hazon, che il parroco riuscì a far chiudere, dove era nascosto il tritolo delle stragi. Cosa volesse fare Puglisi, fa notare Rosaria Cascio, lo ha ben sintetizzato Totò Riina: «Voleva diventare lui il boss di Brancaccio». Vero. Di questo Cosa Nostra ebbe paura: di un personaggio carismatico quanto un boss, ma con il Vangelo in tasca. Oggi che ne resta? Un santo in pezzi? Oggi (lo dicono tutti) la palla torna al nuovo cardinale di Palermo, Corrado Lorefice, voluto da Bergoglio. La Chiesa siciliana era quella del cardinale Pappalardo che gridò «Sagunto abbandonata» dopo l'omicidio Dalla Chiesa? O quella dello stesso Pappalardo che, dopo una messa svuotata dai boss dentro il carcere dell'Ucciardone, alla vigilia del Maxiprocesso, mitigò i suoi toni? «Vorrei solo che mio fratello non fosse morto per niente» conclude Francesco Puglisi. Come dargli torto.
(26 febbraio 2016)

Tratto da: repubblica.it

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