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storie senza lavorodi Nicola Tranfaglia
Tentare un bilancio dopo le ultime polemiche tra il governo attuale e la commissione europea o la cancelliera tedesca Angela Merkel porta fatalmente a verificare tre aspetti che meritano particolare attenzione nell'attuale crisi italiana.
Il primo riguarda la drammatica mancanza di lavoro e il degrado del sistema sanitario e scolastico. Il secondo sulle conseguenze del massiccio trasferimento di risorse alle imprese nel 2015 che non è riuscito a invertire le tendenze strutturali dell'economia italiana che ci inchiodano agli ultimi posti in Europa in termini di produttività, di innovazione tecnologica e di occupazione giovanile.
Il terzo è sul tentativo del governo di fare cassa sulle pensioni di reversibilità. Procediamo con ordine. 1) sul primo aspetto Renzi dice che ha rafforzato nel biennio appena trascorso gli investimenti per la scuola e per la sanità ma sono fantasie perché la spesa pubblica per l'istruzione(in percentuale sul PIL) è passata dal 3,9% al 3,7% (e intanto si riducono e di molto le iscrizioni all'Università) e quella per la salute è passata dal 7% al 6,8%. Renzi dice che ha fatto crescere di un miliardo gli stanziamenti per la sanità ma non è vero. La (sua) ministra Beatrice Lorenzin il 14 luglio 2014 firma a nome del governo il Patto della Salute con le regioni che prevede l'ammontare della spesa pubblica per la sanità nel 20016 a 115,4 miliardi ma nella legge di stabilità del 2016 ci sono 111 miliardi cioè oltre 4 miliardi in meno. Per il servizio civile ha stanziato nel 2016 215 milioni di euro a fronte dei 300 milioni spesi nel 2015: significa 10 mila giovani in meno per quest'anno. I soldi per gli aerei F35 invece aumentano.

Secondo punto sulle conseguenze dell'applicazione del Jobs Act. La fotografia fatta dall'INPS dei dati occupazionali non segnala un reale consolidamento dell'occupazione in Italia come risulta anche dalla preponderanza dei contratti part-time rispetto a quelli indeterminati (41,7%). I contratti riguardano per le nuove assunzioni al 70,1% figure scarsamente qualificate, nel 25% impiegati o figure mediamente qualificate, seguite da apprendisti, quadri e dirigenti. E le assunzioni a tempo determinato hanno riguardato, per il 24%, la fascia di lavoratori dai 40 ai 49 anni e, per meno del 15% dei casi, la fascia di età dai 25 ai 29 anni. Il divario Nord-Sud è molto evidente, guardando la distribuzione nelle regioni delle trasformazioni dei contratti dall'una all'altra categoria. Il 24 % si concentra in Lombardia, l'11% per cento in Veneto ed Emilia-Romagna e appena l'0,9 % in Calabria, l'0,48% in Basilicata e l'02% in Molise.
Quanto al terzo punto dei problemi presi in considerazione, quello delle pensioni di reversibilità è ancora più chiaro ed evidente. Per le pensioni di reversibilità, parliamo di circa 3,9 milioni di donne 500.000 uomini, quasi tutte vedove e vedovi con età media di 74-75 anni. Sul totale delle pensioni quei 4,4 milioni rappresentano il 25 % mentre le pensioni di reversibilità delle donne sono il 40% di tutte le pensioni percepite da donne. L'importo spettante ai superstiti va dal 60 % di riferimento per il solo coniuge senza figli al 100 % per il coniuge con due o tre figli e con il 15 % per ogni altro familiare. Questi importi vanno ridotti se gli aventi diritti hanno altri redditi: del 25 % se questi sono superiori al lordo a tre volte il trattamento minimo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, del 50% se cinque volte. Il trattamento minimo del Fpld è attualmente di 500 euro. Dunque allo stato di cose presente solo la metà delle donne avrà una pensione propria e particolarmente bassa. L'altra metà avrà solo la pensione sociale di 500 euro.
Se godrà invece di  una pensione di reversibilità si tratterà invece del 60 per cento di una pensione che raggiungerà a mala pena il 50 % dell'ultima retribuzione. Pensare che su questi importi il governo possa fare "cassa" è soltanto una minacciosa illusione.

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