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moro aldo 5di Nicola Tranfaglia
Davanti alla commissione sul rapimento e l'assassinio di Aldo Moro che - in omaggio all'equidistanza tra destra e sinistra del governo Renzi-Alfano - è presieduta dall'ottimo Giuseppe Fioroni, ha deposto ieri don Fabio Fabbri, braccio destro ai tempi del cappellano delle carceri don Cesare Curioni. Fabbri ha parlato della trattativa voluta da papa Paolo VI e dei dieci miliardi raccolti dal pontefice per concludere il riscatto dello statista democristiano dalle Brigate Rosse.
Oltre che del misterioso intermediario che Curioni incontrava quasi sempre a Napoli nella toilette della metropolitana. “Non erano soldi dallo Ior, questo lo so per certo”, ha detto Fabbri in uno dei passaggi. In serata il presidente Fioroni farà sapere che Fabbri ha fornito notizie utili per identificare la provenienza di quei soldi. Ma Fabbri ha anche parlato dell’interruzione dei contatti che, per tutta la durata del sequestro furono intensi, almeno una volta alla settimana; ha riferito dell’agente segreto “Gino“, che lo segue durante i 55 giorni, e poi incontra anche dopo. Pur non conoscendo il suo nome ma dà tutte le indicazioni per rintracciarlo, “era lo zio di una donna di cui ho celebrato il matrimonio”.

Dopo quasi un ora dall'inizio dell’audizione, Fabbri ha chiesto ai commissari se hanno guardato con attenzione l'autopsia del presidente democristiano, dopo di che ha ricordato di quando assieme a don Curioni guardarono con attenzione quelle fotografie subito dopo la morte di Moro nel 1978. "don Curioni - ha ricordato Fabbri - ebbe un sussulto ed esclamò: ’Io conosco il killer, è un professionista e quella è la sua firma’". "Bisogna tener presente - ha aggiunto ancora don Fabio Fabbri - monsignor Curioni conosceva bene il mondo delle carceri perché andava spesso nei penitenziari, ne respirava l'aria, conosceva bene i suoi abitanti e sentiva le confidenze dei detenuti sin dai tempi dell'attentato a Togliatti nel luglio 1948. Tra i particolari di quei tempi c'erano i sei colpi attorno al cuore che aveva ritrovato sul corpo di Aldo Moro. Don Curioni aveva messo bene a fuoco l'identità del personaggio che aveva conosciuto in passato quando era ancora un piccolo delinquente ed era stato portato al carcere minorile di Milano intitolato a Cesare Beccaria. Forse negli anni successivi aveva avuto qualche altra notizia di lui e poi quando vede in fotografia del cuore di Moro crede di riconoscere quella firma dell’assassino". L'ultimo particolare che emerge dall'audizione di don Fabbri è che "ci fu un successivo accordo tra il presidente Andreotti e don Cesare Curioni che aveva chiesto al presidente del Consiglio la garanzia che non sarebbe mai stato chiamato a parlare di un suo coinvolgimento - come testimone, si intende - nel caso Moro. Una richiesta che Andreotti accolse senza difficoltà.
Prossimamente si vedrà se la deposizione del prelato potrà avere sviluppi nelle indagini aperte dalla terza commissione su quello che Sciascia aveva definito il misterioso "affaire Moro".

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