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canzio giovannidi Gianni Barbacetto
Giovanni Canzio, Mattarella avrebbe voluto l’unanimità, ma la sinistra non l’ha votato
È stato un gioco d’incastri perfetto: qualche giorno fa, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha nominato il magistrato Giuseppe Maria Berruti commissario della Consob. Così il posto di primo presidente della Cassazione si è reso disponibile per Giovanni Canzio, presidente della Corte d’appello di Milano, che ora si trasferisce a Roma dove diverrà anche membro di diritto del Csm. Nato nel 1945, Canzio avrebbe dovuto andare in pensione appena compiuti i 70 anni. Ma la proroga di un anno decisa dal governo per chi compie i 70 entro il 31 dicembre 2015 ha reso possibile la decisione di ieri del Consiglio superiore della magistratura: il plenum, presieduto dal capo dello Stato Sergio Mattarella, ha nominato Canzio, che così potrà concludere la sua carriera come primo magistrato d’Italia.

È mancata l’unanimità, con grande dolore di Mattarella, perché ai 23 voti favorevoli si sono affiancate tre astensioni pesanti: quelle dei magistrati Lucio Aschettino e Piergiorgio Morosini, togati di Area (Magistratura democratica e Movimento per la giustizia) e quella del laico indicato dal Movimento 5 stelle Alessio Zaccaria.
Canzio viene da una famiglia originaria di Salerno, come suo fratello Mario, ragioniere generale dello Stato dal 2005 al 2013. Studi giuridici a Napoli, laurea nel 1966, ingresso in magistratura nel 1970. Primo incarico al Tribunale di Vicenza, poi a Rieti. Dal 1995 al 2009 è consigliere in Cassazione e poi coordinatore delle sezioni unite penali e direttore del Massimario della suprema corte. Nel 2009 è nominato presidente della Corte d’appello dell’Aquila, nel 2011 di quella di Milano.
Negli anni in Cassazione fu relatore al processo in cui Giulio Andreotti era accusato dell’omicidio del giornalista Mino Pecorelli: la sentenza d’appello, di condanna, è stata dalla suprema corte annullata senza rinvio. Relatore anche al processo contro Calogero Mannino: anche in questo caso la condanna in appello per concorso esterno in associazione mafiosa fu annullata con rinvio a un nuovo processo che poi assolse definitivamente il politico siciliano. Fece parte anche del collegio che annullò senza rinvio la sentenza contro Corrado Carnevale, ribaltando la sentenza d’appello che lo aveva condannato per concorso esterno in associazione mafiosa e mandando definitivamente assolto il giudice che allora i giornali chiamavano “ammazzasentenze”, con una apposita modifica della giurisprudenza.
Da presidente della Corte d’appello di Milano, è rimasto memorabile il suo intervento all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2015, in cui ha, in maniera inedita, criticato le scelte processuali di un altro ufficio giudiziario, quello di Palermo, che aveva chiesto l’audizione del presidente Giorgio Napolitano (che lo apprezzava molto) nel processo sulla trattativa Stato-mafia: “È mia ferma e personale opinione che questa dura prova si poteva risparmiare al capo dello Stato, alla magistratura stessa e alla Repubblica Italiana”.
Negli ultimi mesi, il suo ufficio a Milano è stato coinvolto in un’indagine che riguarda il suo caposcorta: dai telefoni in uso al carabiniere che gli faceva da assistente risulta partita una telefonata di minacce ricevuta da una giornalista del Corriere della sera che indagava sulle aste giudiziarie del tribunale di Milano. Una storia oscura che resterà forse senza soluzione, visto che chi poteva diradare i dubbi sul caposcorta d’ora in poi sarà impegnato a Roma nel ruolo di primo magistrato del Paese.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano del 23 dicembre 2015

Foto © Ansa

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