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quirinale statua effdi Antonio Ingroia
In Sicilia non uccidono solo le pallottole o il tritolo, uccidono anche la solitudine, il silenzio, l’omertà, l’indifferenza. E’ così che sono stati uccisi uomini come Dalla Chiesa, Falcone, Borsellino e tanti altri, vittime di mafia ma anche di quello Stato che non ha saputo o voluto proteggerli, che li ha lasciati soli, che li ha chiamati eroi da morti dopo averli abbandonati se non ostacolati da vivi.

E’ storia antica, una lunga e triste storia di sangue, eppure sembra non aver insegnato niente se ancora oggi lo Stato, ai suoi più alti livelli, dimentica o fa finta di dimenticare un magistrato come Nino Di Matteo, ‘colpevole’ evidentemente di indagare sulla trattativa, di cercare la verità sul patto scellerato che fu stretto tra pezzi dello Stato e criminalità mafiosa dopo le stragi del 1992-1993.
Su Nino Di Matteo pende la condanna a morte di Cosa nostra, una condanna pronunciata da Totò Riina, confermata dalle rivelazioni fatte da vari collaboratori di giustizia, suffragata da numerosi riscontri. Ma nemmeno questo è bastato perché dai vertici istituzionali arrivasse a lui e alla procura di Palermo una parola di solidarietà, un segnale di sostegno. Niente, solo un lungo e indegno silenzio, con l’eccezione del presidente del Senato Pietro Grasso. Non un messaggio dal Capo dello Stato, Sergio Mattarella, né dal presidente del Consiglio, indifferenti pure alla richiesta dei tanti che sono scesi in piazza sabato a Roma, a due passi dal Quirinale e da Palazzo Chigi, aderendo alla manifestazione organizzata dal Movimento delle Agende Rosse e da Scorta Civica proprio per rompere quel silenzio.

Io c’ero sabato, c’ero per rendere onore a un vero partigiano della Costituzione, la nostra Costituzione sfregiata quotidianamente dallo Stato, dal governo, dalla politica. C’ero perché a Nino Di Matteo dobbiamo solo dire grazie per la sua forza, per il suo coraggio, per il suo impegno, per la sua ostinazione nella ricerca della verità, quella ostinazione che è stata anche la mia quando lavoravamo insieme alla procura di Palermo e che è la mia ostinazione oggi da cittadino che si batte per cambiare l’Italia. C’ero perché Di Matteo non è solo un grande magistrato ma è soprattutto un simbolo, il simbolo di un cittadino europeo che vuole verità e giustizia. C’ero per testimoniare, insieme a tanti altri, che lui non è solo, anche se è stato lasciato solo da chi più dovrebbe sostenerlo nella guerra quotidiana contro la mafia.
Nino Di Matteo è stato condannato a morte non solo da Riina, ma soprattutto dallo Stato, quello Stato criminale che lo ha isolato, che ha trattato con Cosa nostra, che ha le mani lorde del sangue di Falcone e Borsellino. Non basta però chiederne la protezione per metterci l’anima in pace. Bisogna fare di più, perché questo è il momento in cui stanno vincendo gli altri, quelli che non vogliono verità e giustizia sulla stagione delle stragi, quelli che scommettono sull’indifferenza di un Paese troppo spesso incline a voltarsi dall’altra parte. Ai tempi del maxiprocesso, i boss imputati furono condannati perché c’erano tantissimi italiani che facevano il tifo per Falcone e Borsellino e quella Corte non poteva, davanti a quegli italiani, assolvere quei boss mafiosi. Oggi, invece, l’onorevole Calogero Mannino è stato assolto in primo grado sebbene, ne sono convinto, le prove a suo carico fossero pesanti quanto lo erano quelle a carico dei boss del maxiprocesso. C’era però, in quella stagione, una consapevolezza nell’opinione pubblica, una determinazione a sapere e a non farsi ingannare, tradire, che oggi sembra invece essersi assai affievolita.

E allora occorre abbattere l’indifferenza, cominciando dall’alto. C’è bisogno di cancellare il modo di fare il presidente della Repubblica che è stato proprio di Giorgio Napolitano, il principale ostacolo all’indagine sulla trattativa e il principale padre dell’assoluzione dell’ex ministro Mannino. Per questo probabilmente un giorno svelerò le intercettazioni che Napolitano ha voluto andassero distrutte, in modo che tutte le verità siano svelate ai cittadini, com’è giusto che sia in uno Stato democratico.
Ma c’è bisogno anche di un modo di essere presidente della Repubblica che non sia neutrale. Penso a Sergio Mattarella, al suo silenzio grave e incomprensibile su Di Matteo. Abbiamo bisogno di un presidente che sia anche lui partigiano, che stia dalla parte giusta, dalla parte della Costituzione, della verità, della giustizia, della magistratura palermitana, di Nino Di Matteo. Com’è possibile che un familiare di una vittima di mafia come Mattarella, cui Cosa nostra ha ucciso il fratello, non senta nel sangue quell’atroce sensazione di ingiustizia che noi tutti sentiamo?

Dobbiamo pretendere allora che il Capo dello Stato rompa il suo silenzio e testimoni solidarietà a Di Matteo. Dalla piazza di sabato deve partire un’onda, un’onda sempre più alta che coinvolga sempre più cittadini e travolga quel muro di gomma eretto da Napolitano che impedisce di arrivare alla verità e di fare giustizia. Lo dobbiamo ai tanti che hanno pagato con la loro vita l’impegno contro la mafia, uomini come Peppino Impastato, come Giovanni Falcone, come Paolo Borsellino e molti altri. Solo così potremo un giorno dire di aver meritato il loro sacrificio.

Tratto da: lultimaribattuta.it

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