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borsellino int fradi Nicola Tranfaglia
Non siamo a maggio bensì a metà novembre ma l'intervista che il giudice Paolo Borsellino concesse ai giornalisti francesi di Canal Plus, Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscardo, nella sua casa di Palermo il 21 maggio 1992, due giorni prima della strage di Capaci in cui morirono Giovanni Falcone e la sua scorta e 59 giorni prima di quella di via D'Amelio in cui fu Borsellino e la sua scorta a finire la propria vita, merita di ritornare di attualità in giorni nei quali l'attualità internazionale parla di giovani italiani che aderiscono all'islamismo e la scena italiana mostra i duetti non esaltanti tra il presidente del Consiglio Renzi e l'ex presidente Berlusconi dissentendo su quello che c'era o non c'era nel patto del Nazareno sulla legge Severino del 2012 sulla sospensione dalle cariche, come quelle che hanno colpito in momenti diversi il sindaco di Napoli De Magistris e il presidente della regione campana De Luca.

L'intervista a Borsellino dei due giornalisti francesi avviene quando i due stanno girando un film sulla mafia in Europa. Stanno intervistando agenti segreti, mafiosi pentiti e non, magistrati e avvocati. E hanno avuto il permesso di seguire l'eurodeputato andreottiano Salvo Lima nei suoi viaggi dalla Sicilia al parlamento europeo almeno finchè nel marzo 1992 Lima non viene assassinato nella capitale siciliana. Nel frattempo Calvi e Moscardo hanno incontrato Vittorio Mangano, il mafioso che aveva prestato servizio come fattore nella villa di Berlusconi ad Arcore fra il 1974 e il 1976, assunto dall'amico Marcello Dell'Utri. Così abbandonano il reportage che doveva ruotare intorno a Lima e si concentrano per svolgere un'inchiesta sui rapporti tra Berlusconi, Dell'Utri  e Cosa nostra. Intervistando fra gli altri Borsellino. Anche perché Berlusconi impazza in Francia con la televisione con La Cinq e si lancia sul mercato della tv commerciale in concorrenza con Canal Plus. Ma il suo sponsor Mitterand perde le elezioni e il nuovo presidente Chirac mette i bastoni tra le ruote a La Cinq che di lì a poco fallisce.
Due anni dopo Berlusconi entra in politica e Calvi dà a Leo Sisti del settimanale L'Espresso che pubblica la trascrizione integrale dell'intervista nella primavera di quell'anno 1994 in cui l'imprenditore vince le elezioni e diventa capo del governo. Agnese Borsellino chiede una copia della cassetta e la consegna ai pubblici ministeri di Caltanissetta che indagano su Berlusconi e Dell'Utri come possibili "mandanti esterni" della strage di via D'Amelio. L'intervista è importante perché Borsellino parla, pur con estrema prudenza, in un documentario dedicato alla mafia di Berlusconi e Dell'Utri.
Poi lascia chiaramente intendere di non potersi addentrare nei rapporti tra Berlusconi, Dell'Utri e Mangano perché c'è ancora un'inchiesta in corso e non è lui ad occuparsene. In ogni caso Borsellino ricorda di aver conosciuto Mangano negli anni Settanta in vari processi: quello per certe estorsioni a cliniche private e il famoso processo alla Cupola di Cosa nostra avviato a metà degli anni Ottanta grazie alle dichiarazioni dei primi pentiti Buscetta, Contorno e Calderone. Aggiunge che Falcone l'aveva pure processato e fatto condannare per associazione a delinquere nel processo Spatola, mentre nel maxiprocesso contro i capi di Cosa Nostra Mangano fu condannato per traffico di droga: 13 anni di galera in tutto che Mangano scontò tra il 1980 e il 1990. Borsellino sa che Mangano era un mafioso già negli anni Settanta, uomo d'onore della famiglia di Pippo Calò, implicato addirittura in un omicidio con Saro Riccobono mentre stava ad Arcore. L'avevano pure intercettato al telefono con un mafioso, Inzerillo, mentre trattava partite di cavalli e magliette che nel suo gergo volevano dire "eroina". Non era uno stalliere né un fattore: era la "testa di ponte" dell'organizzazione mafiosa al Nord.
Borsellino nell'intervista ai due francesi cita schede in cui ci sono le posizioni processuali di  Dell'Utri e di Mangano e prega di non citarle testualmente perché è probabile che siano ancora coperte dal segreto istruttorio ma proprio queste citazioni confermano che il giudice era consapevole e ritiene utile che dei due si parlasse. L'importanza dell'intervista è sicura-nel 2002 la Corte di Assise di Appello di Caltanissetta, nel processo per la strage di via d'Amelio, infligge 13 ergastoli e include l'intervista tra le cause che spinsero Totò Riina ad uccidere Borselli dopo Falcone. Il parlamento aveva già accantonato il il decreto antimafia Scotti-Martelli e Riina appariva tranquillo e diceva agli altri boss di Cosa Nostra (come ha riferito Cancemi), come ha riferito il pentito Cancemi, "di aver avuto garanzie per il futuro direttamente da Berlusconi e Dell'Utri." Per questo, secondo i giudici palermitani, l'intervista è fondamentale: Borsellino, "pur mantenendosi cauto e prudente per non rivelare notizie coperte da segreto o riservate, consultando alcuni appunti, forniva indicazioni sulla conoscenza di Mangano con il Dell'Utri e sulla possibilità che il Mangano avesse operato come testa di ponte della mafia in quel medesimo ambiente."
"Non si può escludere - concludono i magistrati - che i contenuti dell'intervista siano circolati tra i diversi interessati, che qualcuno ne abbia informato Riina e ne abbia tratto autonomamente le dovute conseguenze visto che questa Corte ritiene che il Riina possa aver tenuto presente, per decidere la strage, gli interessi di persone che intendeva "per ora e per il futuro”.
Sono trascorsi ventuno anni dall'intervista ma non c'é da stupirsi più di tanto se se ne parla ancora visto che se Borsellino e Falcone sono soltanto nel nostro ricordo e nella memoria storica migliore dell'Italia gli interlocutori di quel periodo i personaggi politici di quegli anni sono tutti ancora sulla scena e nei prossimi mesi ed anni gli italiani dovranno ancora scegliere a chi affidarsi per il futuro. Un futuro sperabilmente migliore di quello che ci hanno dato fino a ieri i tifosi dei tanti populismi presenti nei vari schieramenti politici in campo.

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