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Nicola Tranfaglia
Devo confessare subito una cosa. Sono convinto e non da oggi che la riforma istituzionale che si chiama "costruzione del Senato nuovo" interessa una parte molto esigua degli italiani. A tentare di impostare un calcolo approssimativo, possiamo metterci i politici e quelli che più o meno vivono di politica (e dunque tanti giornalisti, telegiornalisti e lavoratori nelle stazioni televisive) e personaggi di vario genere che con la politica hanno a che fare e devono tenerne conto (giuristi, imprenditori, economisti e così via discorrendo). Agli italiani in quanto tali, divisi nei mestieri più vari alcuni dei quali conducono alla lettura (come gli insegnanti e i direttori degli uffici di ogni genere) importa assai meno e a volte nulla. Soprattutto perché la disputa, come avviene quasi sempre in Italia, si sta complicando e diventando sempre di più qualcosa che è riservato agli specialisti e agli appassionati piuttosto che a tutti.
Il problema è chiaro: Renzi e quelli che lo seguono, diventati in un anno di potere quasi un esercito, vogliono che l'art. 2 della legge istitutiva del nuovo Senato stabilisca che i senatori siano consiglieri regionali saldamente controllati dai segretari dei partiti, o delle quasi equivalenti aggregazioni, gli italiani che si tengono alla Costituzione repubblicana e agli articoli che la distinguono dalle costituzioni non democratiche sono invece decisi a chiedere l'elezione diretta - da parte di tutti gli elettori italiani - della cosiddetta Camera Alta. Proprio perciò è il caso di consultare quelli hanno studiato (come chi scrive o altri costituzionalisti) il testo costituzionale italiano e degli altri simili o differenti. Tra di loro Michele Ainis che insegna all'Università di Roma Tre sta mostrando (come peraltro Gaetano Azzariti e Andrea Pertici, per citarne qualche altro) una particolare lucidità di fronte al disegno del ministro per le Riforme Elena Boschi che il presidente del Consiglio-segretario del partito democratico vuole assolutamente portare all'approvazione entro il prossimo quindici ottobre.

Interrogato da un quotidiano di oggi, Ainis risponde con la solita chiarezza: "Il bicameralismo perfetto, con tutti i suoi limiti, era una garanzia per l'equilibrio democratico. Questa riforma svuota Palazzo Madama di gran parte delle prerogative e lo rende un ibrido, né carne né pesce". E quindi spiega: "Esistono due modelli di Senato, uno delle garanzie e uno delle autonomie. Il primo ha forti poteri di controllo, anche sul governo; i l secondo rappresenta gli enti locali. L'organo ridisegnato dalla riforma che si sta discutendo non potrà fare nessuna delle due cose. Non voterà più la fiducia al governo e potrà porre il veto su pochi provvedimenti. In più non potrà davvero rappresentare le Regioni che a loro volta vengono private di gran parte delle proprie competenze...Anche sulla nomina dei due giudici costituzionali sarà la Camera e non più il Senato a decidere. Bisogna riassegnare competenze al Senato. E lo stesso referendum previsto alla fine, dopo la riforma, rischia di essere un plebiscito piuttosto che la possibilità che difendere la sopravvivenza adeguata della Camera Alta." Non c'è molto da aggiungere a un'intervista come quella al professor Ainis, di cui condivido tutti i punti essenziali. C'è da sperare, piuttosto, che non si perda il senso delle ragioni che condussero i costituenti a creare una garanzia contro i colpi di mano più o meno frettolosi.

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