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sfruttamento-immigratidi Nicola Tranfaglia - 24 agosto 2015
Quando la cronaca dei quotidiani e dei settimanali, o anche dei telegiornali, si ferma sulle condizioni di lavoro che ci sono nell'Italia meridionale, soltanto raramente leggiamo riflessioni pertinenti sulle condizioni in cui il lavoro si svolge con la presenza opprimente delle associazioni mafiose che non cessano mai di esser presenti e si rendono conto di solito senza difficoltà della prepotenza o ancora peggio che regola i rapporti di lavoro e la condizione di chi è sottoposto a chi ha potere nelle campagne prima ancora che nei paesi e nelle città del Mezzogiorno. Statistiche recenti e recentissime hanno dipinto nelle scorse settimane con ancora maggior forza il divario economico e di coesione sociale che sottolinea la differenza tra le varie regioni italiane e pone il Sud ancora una volta in una situazione notevolmente peggiore di quella del Centro e soprattutto del Nord del nostro Paese. Ma ogni giorno gli avvenimenti non fanno che dipingere con ancora maggiore forza la differenza che caratterizza il Sud rispetto alle regioni che lo circondano e da esso si differenziano.

Un ultimo episodio che vale la pena ricordare in queste giornate di fine agosto è stato registrato a San Severo, nelle campagne pugliesi al confine tra la Puglia e il Molise. "Siete dei deficienti! La cosa che vi meritate è che io devo venire là e vi devo rimanere tutti a terra... lunghi per terra. Un autobus pieno di braccianti pugliesi era stato appena fermato dalla Guardia di Finanza ai confini con il Molise e i braccianti avevano raccontato che si trattava di un autobus preso a noleggio. E lui, il caporale che rappresentava l'impresa, li ha minacciati di morte: "Ora quelli che mettono la targa, risulta che la macchina è a uso proprio, io non che devo dire cinquanta volte che bisogna evitare questi episodi... Così è come se gli fossi andato a dire: quello è un caporale." Sulla carta, il caporale Antonio Celozzi, per il quale il tribunale del Riesame di Bari ha disposto l'arresto sulla base della nuova legge sul caporalato, secondo la presidente del collegio giudiziario che l'ha giudicato, Francesca La Malfa, si dedica ampiamente e professionalmente all'attività di procacciatore di manodopera da utilizzare in lavori agricoli, in luogo di quella di noleggiatore che è solo strumentale all'attività illecita. Ma non è un procacciatore normale perché i lavoratori reclutati "erano tutti vittime di minacce o di altri atti di intimidazione o pressione e "a loro venivano imposte versioni da rendere alle forze dell'ordine in occasione dei controlli".
Celozzi recluta principalmente italiani ma quando ha molte richieste si rivolge a una collega "bulgara" che gli manda qualcuno. Teneva una contabilità precisa delle giornate dei suoi dipendenti, sequestrata dagli uomini della Finanza (operazione coordinata dagli uomini del comandante provinciale colonnello Francesco Gazzani). 54,36 era la paga ufficiale, dai 30 ai 40 era quella data ai braccianti. La differenza la teneva il caporale. Che metteva a tacere tutti quelli che provavano a lamentarsi.
Ora vorrei sapere da chi è in grado di rispondere che cosa differenzia simili comportamenti dei "caporali" e di quelli che i caporali rappresentano dai metodi mafiosi, che a me è accaduto più volte nei miei libri ed articoli di descrivere e di rappresentare. E che cosa hanno intenzione di fare le autorità preposte a questi compiti per uscire da una simile, arretrata e pericolosa situazione che caratterizza una parte non piccola delle campagne meridionali.

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