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senza-lavorodi Nicola Tranfaglia - 31 luglio 2015
E' difficile conservare qualche sorta di ottimismo di fronte a quello che è successo nel ventunesimo secolo che abbiamo da poco incominciato a vivere. L'Italia meridionale fa molto peggio di quanto abbia fatto la Grecia negli ultimi anni: il paese ellenico è cresciuto dal 2000 al 2013 del 24%, il nostro Sud soltanto del 13 %. E se si confronta con la media degli altri ventotto paesi dell'Europa che si assesta sul 53%, il dato è ancor più deprimente. Lo scenario è negativo anche sul fronte del lavoro perché il Mezzogiorno segna oltre quaranta punti percentuali in meno: "il numero degli occupati nel Mezzogiorno, ancora in calo nel 2014, arriva a 5,8 milioni,il livello più basso almeno dal 1977,anno di inizio delle serie storiche calcolate dall'ISTAT. I più penalizzati-é quasi superfluo aggiungerlo-si parla di una "frattura senza paragoni in Europa".

Secondo il Rapporto Svimez che l'associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno, l'Italia nel suo complesso è il paese con meno crescita nell'area euro con il più 20,6 % a fronte di una media europea che è stata del 37,3 %. Nel complesso, emerge il ritratto di un Paese diviso e diseguale dove il Sud è la deriva e scivola sempre più nell'arretramento". Non solo: perché il Sud è a forte rischio di desertificazione industriale con la conseguenza che l'assenza di risorse umane, imprenditoriali e finanziarie potrebbe impedire all'area meridionale di agganciare la possibile ripresa e trasformare la crisi ciclica in un sottosviluppo permanente."
E quel che più mi stupisce, in quest'Italia stordita dalla pubblicità e da una notevole quantità di politici-illusionisti di cui continuiamo a disporre, è che è difficile trovare oggi un editore che voglia pubblicare un lib,ro nuovo sui problemi attuali e storici del Mezzogiorno dopo i grandi classici dell'Otto-Novecento e che anche chi scrive propose a un noto editore romano di scrivere un saggio su quei problemi e ne ricevette un cortese rifiuto, come se si trattasse di argomenti di scarso interesse. Giustino Fortunato non ci crederebbe se qualcuno ai suoi tempi glie lo avesse detto.
Ma tornando ad oggi, occorre ancora ricordare, che, in termini di Pil procapite, il Mezzogiorno è sceso al 53,7 % del valore nazionale un risultato mai registrato dopo il 2000. Lo scorso anno, infatti, quasi il 62% dei meridionali ha guadagnato meno di 12mila euro annui contro il 28,5% del Centro-Nord. Il Pil è stato di 26.585 euro risultante dalla media tra i 31.586 euro del Centro-Nord e i 16.976 euro del Mezzogiorno. A livello di regioni, il divario tra la più ricca che è il Trentino-Alto Adige con oltre 37mila euro e la più povera, la Calabria con poco meno di 16mila euro è stato di quasi 22mila euro, in crescita di 4 mila euro in un solo anno. Tutto questo si riflette sul rischio povertà che coinvolge una persona su tre al Sud e una su dieci al Nord. La regione italiana con il più alto rischio di povertà è la Sicilia(41,8%),seguita dalla Campania (37,7%) ma in generale al Sud è aumentata rispetto al 2011 del 2,2% contro l'1% nel Centro-Nord.
Il tasso di disoccupazione arriva nel 2014 al 12,7% in Italia quale media tra il 9,5 % del Centro-Nord e il 20,5 % del Sud. Nel 2014 i posti di lavoro in Italia sono cresciuti di 88.400 unità, tutti concentrati nel Centro-Nord(133mila) mentre il Sud ne ha persi 45mila. Al Sud lavora solo una donna su cinque. 
Per quel che riguarda i giovani, la Svimez parla di una "frattura senza paragoni in Europa":il Sud negli anni 2008-20014 ha perduto 622mila posti di lavoro tra gli under 34 (-31,9%) e ne ha guadagnati 239mila negli over 55 con un tasso di disoccupazione degli under 24 che raggiunge il 56 %. Questo dato sembra indicare che studiare non paghi più "alimentando una spirale di impoverimento del capitale umano determinata da emigrazione, lunga permanenza in uno stato di disoccupazione scoraggiamento a investire nella formazione avanzata". Il settore manifatturiero al Sud ha perso il 34,8% del proprio prodotto contro un calo nazionale del 16,7% e ha più che dimezzato gli investimenti (-59%,3) tanto che nel 2014 la quota del valore aggiunto manifatturiero sul Pil è stato pari soltanto al all'8%, ben lontano dal 17,9% del Centro Nord. Potremo continuare ad indicare altri indici che peraltro si trovano enunciati con chiarezza nell'ottimo rapporto della Svimez. In questa sede vale la pena almeno indicare a quelli che decideranno la politica economica italiana il grave rischio che corre il Mezzogiorno e la necessità di intervenire rapidamente e in maniera efficace per evitare che esso si realizzi di qui ai prossimi anni.

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