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conflitto-interessi-2di Nicola Tranfaglia - 9 febbraio 2015
Una delle questioni decisive per la democrazia italiana è, senza dubbio, la risoluzione del conflitto di interessi e negli anni Novanta quando la lotta politica era più aspra di quanto sia adesso che sembra esser degenerata in una contrapposizione personalistica tra campioni con trapposti e l'abisso che separa ormai, da quasi un quarantennio, la società politica e quella composta delle varie categorie di cittadini (che è difficile definire migliore in quanto tale, come a volte si fece e non soltanto nei giornali). Ma, dopo che - alla metà di quel decennio - si era arrivati a una soluzione accettabile - come quella propo sta dal senatore toscano Stefano Passigli - che stabiliva l'incompatibilità e la vendita preventiva delle proprietà incriminabili dal punto di vista del conflitto di interessi - l'avvento al potere, per dodici anni del capo assoluto dei populisti, altrimenti noto come Silvio Berlusconi di Arcore, che - durante il suo lungo regno - l'ha sostituito con una soluzione tale per cui, stando più di tutti gli altri al potere nell'ultimo ventennio, non solo si è tenuto, senza colpo ferire, tre canali televisivi più tutti quelli che seguono le sue capo fila, ma è riuscito a incrementare sul piano finanziario il loro valore ed ha esercitato un invidiabile influenza sulle cose economiche, culturali e politiche del nostro Paese.

Ed è questa la ragione di fondo che oggi di nuovo la parte più attenta e vivace della coalizione di centro-sinistra che faticosamente ha prevalso, sia pure imperfettamente e di misura, nelle ultime elezioni politiche, vorrebbe porre di nuovo e in maniera efficace il problema di risolvere finalmente il problema del conflitto di interessi sostituendo alla ridicola soluzione, adottata nel 2004 in pieno dominio del "populismo autoritario" di Silvio Berlusconi, una legge moderna simile a quelle che già esistono negli Stati Uniti e nei più avanzati paesi europei, e che pone il politico accusato di conflitto di interessi di fronte alla scelta secca di vendere quelle proprietà prima di ricoprire la sua carica o di rinunziarvi. Intendiamoci: una misura che non riguarderebbe soltanto Berlusconi ma che dovrebbe applicarsi a molti altri politici in servizio permanente effettivo.
Ebbene sono passati più di dieci anni e non se ne è fatto nulla e non è il caso certo di attendere le prossime elezioni (fissate a fine legislatura attuale, nel 2018) per raggiungere questo obbiettivo fondamentale di restituzione a tutti gli italiani un'almeno teorica parità di posizione nell'esercitare la difficile arte della politica nel proprio paese ma, poiché non solo l'uomo di Arcore ma molti altri non amano l'articolo 3 (eguaglianza dei cittadini) e l'articolo 21 (libertà di pensiero e di espressione) si continua a rinviare alle calende greche ogni discussione e si fa in modo che il problema esca da qualsiasi programma delle forze che si contendono il potere. In questo senso si può e si deve dire che il populismo ha vinto ancora una volta, a destra, al centro e a sinistra.
Vogliamo almeno prenderne atto?

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