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fitto-berlusconi-c-imagoeconomicadi Nicola Tranfaglia - 17 dicembre 2014
Le quattro parole che l'on. Raffaele Fitto, ex presidente della regione Puglia, ha rivolto al capo indiscusso della coalizione di centro-destra che ha Forza Italia come partito maggiore e l'uomo di Arcore il suo capo indiscusso, malgrado le numerose vicende giudiziarie ancora in piedi, ricordano senza dubbio l'intervento che Gianfranco Fini, allora presidente della Camera, indirizzò a Berlusconi, nel 1993 (lo raccontai nel mio libro La transizione italiana uscito proprio allora da Garzanti e subito ristampato): "Che fai mi cacci?". Fitto, con molta maggior modestia, si è limitato a precisare che una sua candidatura alle prossime elezioni in Forza Italia non sta né in cielo né in Terra. Ma anche l'on. Fassina del PD ha rivolto al segretario-presidente del Consiglio, Matteo Renzi, una frase significativa: "Se vuoi il voto, dillo." L'una e l'altra espressione, a mio avviso, sono frutto del nervosismo che circola nel maggior partito di governo come di quello di opposizione di fronte alle scadenze previste che non sono soltanto, come per gli italiani più o meno tranquilli, le ricorrenze di Natale e del nuovo anno, ma innanzi tutto l'elezione del successore di Giorgio Napolitano che è stato negli anni scorsi uno dei personaggi più importanti e decisivi della politica italiana, approfittando in questo senso delle incertezze dei partiti politici sempre più "personalistici" e di difficile gestione (interessante, da questo punto di vista, il saggio di Perry Anderson L'Italia dopo l'Italia. Con il sottotitolo Verso la terza repubblica).

Ora è difficile capire se c'è nel Partito democratico qualcuno che vuole le elezioni e personalmente ne dubito, a parte le sortite di alcuni leader della minoranza interna che non vogliono, o non possono, far parte della pattuglia di guida del partito e che vogliono far sentire almeno a chi è a loro vicino che cosa pensano di un lea der che ha firmato il patto del Nazareno e intende ad o
gni costo osservarlo. E' più comprensibile la difficoltà dell'ex presidente della Puglia accettare la politica oscillante di un uomo come l'imprenditore di Arcore che, da una parte, vuole ad ogni costo tener saldo il Patto del Nazareno giacché per lui potrebbe aprirsi il pericolo di un leader più duro di Renzi o elezioni anticipate che, in questo momento, per l'imprenditore televisivo e vero capo di tutti i populismi italiani, potrebbero rivelarsi molto negative.
In questo senso sembra riprodursi nella politica italiana una situazione non molto diversa da quella che si profilò vent'anni fa e che fu caratterizzata proprio dalla contrapposizione netta tra i partiti come tra le istituzioni: da una parte la magistratura(e allora c'erano i giudici di Mani pulite tra i quali tutti conoscevano il pubblico ministero Di Pietro e il presidente-oggi senatore D'Ambrosio), dall'altra, la destra trionfante in cui Berlusconi era riuscito in pochi mesi a federare il suo movimento personalistico con Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini e la Lega Nord di Umberto Bossi vincendo a man bassa le elezioni del marzo 1994.
Ma chi rappresenta oggi l'antipolitica di cui tutti parlano incluso il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, già sul piede di partenza, che ricorda il deputato milanese suicida Sergio Moroni che, accusato dalla procura milanese di aver intascato denaro di tangenti e divenuto destinatario di due avvisi di garanzia, si era ucciso nella sua casa di Brescia. Nella sua lettera, Moroni aveva scrit
to di non "aver mai personalmente approfittato di una lira e invocava "la necessità di distinguere ancor prima sul piano morale che su quello legale "dolendosi di essere accomunato nella definizione di ladro oggi così diffusa". E concludeva la sua lettera, prima di uccidersi, denunciando un clima da "progrom nei confronti della classe politica".
E un mio collega, con il quale- in anni lontani ormai lontani-ho sovente polemizzato, Galli della Loggia, ricorda che il presidente della repubblica di allora, Oscar Luigi Scalfaro, rifiutò di firmare il decreto dell'allora Guardasigilli Giovanni Conso, in cui si stabiliva la depenalizzazione (con valore anche retroattivo) del finanziamento illecito ai partiti. E, in quell'occasione, nulla rispose all'on. Moroni il presidente della Camera che allora era proprio Giorgio Napoletano né ci furono critiche al rifiuto della firma da parte del Capo dello Stato. L'una e l'altra scelta, nota l'editorialista del quotidiano milanese (e io non posso in questo caso che essere d'accordo con lui), furono espressione di una critica alla politica svolta dall'interno delle istituzioni.

Foto © Imagoeconomica

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