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tranfaglia-nicola-web12di Nicola Tranfaglia - 1° dicembre 2014
Si è creata, nei mesi scorsi, e rischia di portare a un nuovo, preoccupante errore la discussione in corso (mentre è in corso la consultazione digitale promossa dalla commissione di studio presieduta da Stefano Rodotà, che durerà fino al prossimo mese di febbraio 2015) presso il Senato sulla nuova legge sulla diffamazione, approvata già in terza lettura dalla Camera dei deputati nell'ottobre 2013 e che potrebbe essere ora in dirittura finale. La diffamazione è un attacco brutale che può essere portato a una persona o a un'istituzione e va per questo punita senza timori ma l'esperienza ha dimostrato in anni, per non parlare di decenni, che le querele in molte circostanze hanno finalità differenti e non si può applicare alla rete le stesse regole che si applicano agli altri mezzi di comunicazione di massa come ora si tenta di fare. E le ammende stabilire di cinquantamila euro per un errore di cui si è accettata la rettifica non sono proporzionati all'entità del danno e alla diffusione dell'errore anche in relazione alle procedure previste come il fatto che il foro giudiziario è sempre quello dell'utente. La Federazione della Stampa, l'Ordine dei giornalisti, l'Associazione contro le mafie Libera, Articolo 21, Ossigeno per l'informazione si battono perché si approvi al più presto una legge utile ed efficace ma equa.

E tenendo presenti quelli che sono i problemi di fondo che sulle comunicazioni di massa nel nostro Paese. Vale la pena ricordare su questo punto quale è la situazione italiana.
Il nostro Paese fino ai primi anni del ventunesimo secolo (e con maggior precisione fino al 2004) è stato classificato, nella classifica mondiale di Freedom House che resta oggi l'unica attendibile, come paese libero ma quell'anno è diventato come parzialmente libero fino al 2006 durante il II e il III governo Berlusconi a causa di "vent'anni di amministrazione politica falli mentare", la controversa legge Gasparri del 2003 e soprattutto la possibilità per il presidente del Consiglio di influenzare la Rai, un conflitto di interessi tra i più sfacciati del mondo" (Rapporto Freedom of the Press, 2004). Dopo essere stata riclassificata come "paese libero" negli anni 2007 e 2008 durante il secondo governo Prodi, è stata di nuovo declassificata balzando agli ultimi posti, il 64mo per la precisione della classifica mondiale a partire dal 2009 con il quarto governo Berlusconi. L'Italia secondo i rapporti degli anni successivi di Freedom House costituisce "un'anomalia" nella regione geografica di cui fa parte per i crescenti tentativi del governo di interferire con la politica dei mezzi di comunicazione pubblici. Di qui la necessità, e a questo punto, l'urgenza di una legge che concluda l'età dei populismi che nell'ultimo ventennio ha dominato e segni un ritorno alla moderna democrazia costituzionale. O questo significa chiedere troppo?

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