di Nicola Tranfaglia - 24 novembre 2014
E', a mio modestissimo avviso, un errore personalizzare le critiche al governo Renzi tutte sulle spalle dell'ex sindaco di Firenze. Perché, al di là del piglio a volte un po' arrogante che l'attuale presidente-segretario impugna nelle sue risposte, il problema maggiore non è la sua fretta a volte poco comprensibile di portare a casa (come, in gergo politico, si dice) la riforma del lavoro altrimenti noto come jobs-act, né il fatto, a mio avviso, tardivo e sacrosanto che ha portato il PD nel partito socialista europeo.
I problemi sono invece che le analisi economiche più precise, come il bel libro dell'economista Piketty, mostrano che la disuguaglianza tra i cittadini di uno Stato pur occidentale è ritornata ai livelli del 1929, alla vigilia della "grande depressione", cioè a livelli inaccettabili.
E il governatore della nostra Banca d'Italia ricorda che troppi italiani continuano a non pagare le tasse e che seminano sprechi e corruzione svuotando le casse dello Stato.
E se Renzi risponde che il suo governo "sta cambiando il mondo del lavoro per evitare che alibi e tabù tengano fuori dal mercato milioni di lavoratori solo perché non hanno contratto e sono precari. " Ma quale è la risposta che il presidente del Consiglio dà a questa situazione? Dove sono e in che cosa consistono i rimedi che sono stati posti nel provvedimento per superare il baratro? Finora nessuno ci ha detto e fatto capire che cosa di preciso si propone per uscirne.
Che poi tutte le istituzioni, quelle politiche come quelle sindacali ma anche quelle scolastiche ed accademiche debbano essere riformate in Italia in modo da poter rispondere adeguatamente a un mondo cambiato è indubbio ma abbiamo speranze che gli imprenditori italiani, una volta abbandonato l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, si rimettano ad investire e ad assumere. O le cose resteranno come stanno?
E, c'è da stupirsi, se questo accadrà se i lavoratori, i giovani come quelli più anziani ma ancora in grado di lavorare troveranno il modo di cambiare i sindacati e riprendere il cammino per far valere i propri diritti nel senso giù indicato più di settant'anni fa dalla nostra costituzione repubblicana?
Son questi gli interrogativi che si pongono di fronte all'attuale governo di larghe intese e c'è da sperare che i protagonisti, a cominciare da Matteo Renzi, per primo, si rendano conto della necessità di chiedere agli elettori italiani che cosa pensano non tra quattro o cinque anni ma quest'anno o al massimo nel prossimo 2015.