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fiandaca-giovanni-2di Marco Travaglio - 20 novembre 2014
Il professor Giovanni Fiandaca, docente palermitano di Diritto penale, autore di un pregevole manuale scritto a quattro mani con il collega Enzo Musco, già leader del “movimento dei professori” (la risposta in salsa siciliana ai girotondi nei primi anni 2000), già aspirante eurodeputato del Pd appena trombato alle elezioni europee, già candidato al Csm e alla Consulta con il medesimo esito, è molto agitato contro i magistrati di Palermo che sostengono l’accusa nei due processi che hanno come imputato, fra gli altri, il generale Mario Mori, difeso dal suo coautore Enzo Musco: quello sulla trattativa Stato-mafia (primo grado) e quello sulla mancata cattura di Provenzano nel '95 (appello).

Due anni fa, l’agitato Fiandaca scrisse un ponderoso saggio ripreso dal Foglio di Berlusconi & Ferrara con il titolo “La trattativa è una boiata pazzesca”. L’anno scorso pubblicò per Laterza, con lo storico Salvatore Lupo, un libro dal titolo "La mafia non ha vinto" che, siccome la mafia non ha neppure perso, faceva pensare che avesse pareggiato. Poi si è prodigato, purtroppo invano, per far trasferire il processo Trattativa da Palermo a Roma, dove tradizionalmente i casi eccellenti riposano in pace in saecula saeculorum. Ultimamente s’è dato molto da fare, con risultati miserrimi, per scongiurare il supremo affronto della testimonianza di Napolitano dinanzi alla Corte d’Assise di Palermo col decisivo argomento che era “inutile”: sventuratamente Napolitano, con le sue tre ore di deposizione piena di fatti nuovi, s’incaricò di dimostrare che era utilissima. Ora, indomito, si sta molto accaldando per far punire dal Csm il Pg Roberto Scarpinato, reo di avere scritto un saggio su Micromega, a suo dire pericolosamente infestato da “residui vetero-marxisti misti ed empiti egualitario-punitivi nei confronti dei colletti bianchi”, insomma da un vero e proprio “progetto simil-rivoluzionario”. Roba da chiamare l’antiterrorismo, i caschi blu e le teste di cuoio, o almeno da sanzionare con pene esemplari, anche corporali, perché “in un Paese diverso dal nostro il fenomeno di un Pg che sollecita a rinverdire ideologie radicali con ogni probabilità risulterebbe, oltre che strano, oltremodo preoccupante”.
Ora, a parte il fatto che i magistrati sono cittadini tutelati dall’articolo 21 della Costituzione che garantisce piena libertà di pensiero ed espressione, chiunque leggerà il saggio di Scarpinato su Micromega (esercizio, oltre che utile, oltremodo opportuno anche per il professor Fiandaca, che all’evidenza non l’ha letto o non l’ha capito) scoprirà che di progetti vetero-marxisti e simil-rivoluzionari non c’è traccia alcuna. Scarpinato, in un’ampia e argomentata digressione storica sulle deviazioni delle classi dirigenti e sui loro “sistemi criminali” integrati, difende i principi della Costituzione tuttora vigente (con buona pace dei fiandachi) e dello “Stato liberaldemocratico di diritto” (roba non proprio da bombaroli terzinternazionalisti) contro i cosiddetti “realisti” della “Costituzione materiale”, che in nome di interessi criminali nazionali e internazionali fanno pagare la crisi ai cittadini onesti per mantenere i ladri, i corrotti, gli evasori fiscali e i mafiosi e, non contenti dell’impunità garantita ai colletti bianchi con l’“inefficienza programmata” della Giustizia, tentano l’ultimo tradimento della Carta costituzionale mettendo progressivamente e surrettiziamente sotto controllo l’unica variabile ancora indipendente del sistema: la magistratura, o almeno quella parte di essa che ancora si ostina a obbedire alla Costituzione del 1948 in nome del “ripristino della legalità” e del “principio di responsabilità”. Tutti valori squisitamente liberali, non certo marxisti, né vetero né neo. Ma di questi dettagli il Fiandaca non si occupa: nel solco del più vieto (e, questo sì, vetero) maccartismo fuori tempo massimo, l’insigne cattedratico s’improvvisa prefetto di disciplina e lacrima perchè “la magistratura odierna è attraversata da un pluralismo e una frammentazione di orientamenti” (il pluralismo delle idee: orrore, roba da gulag).
Poi manipola a suo uso e consumo, senza uno straccio di argomentazione, il pensiero di Scarpinato, accusandolo di far parte di un’imprecisata “frangia magistratuale politicamente antagonista” (al confronto Berlusconi, con le sue toghe rosse, era un dilettante) che vuole esercitare un fantomatico “controllo di virtù dei ceti dirigenti (politici, imprenditori, professionisti ecc.)”. E, per rendere più credibile la sua critica, la fa dalle colonne del Mattino (gruppo Caltagirone, ci siamo capiti). Che aspetta dunque il Csm a istruire un Tribunale Speciale delle Idee, un Sant’Uffizio Togato, una bella Inquisizione con tanto di Indice dei libri e delle riviste proibiti prima che le idee di Scarpinato inquinino le menti deboli dei “giudici più giovani”, già affetti da “un moralismo giuridico al quanto ingenuo”, e alimentino vieppiù “la grande ignoranza del cittadino medio in materia di giustizia”? Si dia dunque fuoco alle pire, come sembra chiedere il caporale di giornata. Se invece il problema è soltanto che alcuni magistrati stanno processando alcuni clienti illustri del suo coautore, lo dica (si potrebbe sempre abolire quei processi per decreto). E possibilmente eviti di coprirsi di ridicolo agitando il drappo rosso, ormai deposto perfino da B. L’unico rosso appropriato a questa storia tragicomica è quello di cui dovrebbero avvampare il professor Fiandaca e tutti gli “intellettuali” come lui. Per la vergogna.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano del 20 novembre 2014

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