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tranfaglia-nicola-web8di Nicola Tranfaglia - 10 ottobre 2014
Il prezzo della cosiddetta trattativa tra lo Stato e Cosa Nostra, che si svolse tra il '91 e il '92 tra i corleonesi di Salvatore Riina e il Comando del Corpo speciale dei carabinieri noti come i ROS - comandati in quel momento dal generale Subranni, che aveva alle sue dipendenze il colonnello Mario Mori in trame illegali (di cui c'è stata già occasione di parlare) e il capitano De Donno - è abbastanza facile da raccontare.
L'incontro tra le parti, di cui l'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino (secondo le rivelazioni del figlio Massimo e di due collaboratori di giustizia tra i quali Gaspare Spatuzza che lo avrebbe saputo dal boss Giuseppe Graviano e Tullio Cannella) fu il tramite, ebbe come oggetto, dopo la stagione delle stragi di Capaci e di via d'Amelio e le bombe a Roma, Firenze e Milano, uno scambio di non scarsa importanza: cioè la fine delle stragi da parte di Cosa Nostra in cambio di una effettiva attenuazione delle misure detentive previste dall'articolo 41bis contro i detenuti per mafia nelle carceri italiane.

Mercoledì a Palermo il pubblico ministero Tartaglia, nella sua requisitoria durante il processo in corso sulla "trattativa" ha detto testualmente: "lo Stato non si è trovato unito a combattere contro la mafia....la verità che emerge è un'altra: una parte importante delle istituzioni, spinta da esigenze egoistiche contrabbandate per ragioni di Stato, ha cercato il dialogo e il compromesso con l'organizzazione mafiosa, andando in questo modo incontro ai desideri di Cosa Nostra. Secondo l'accusa, Calogero Mannino, l'ex ministro democristiano del Mezzogiorno nel governo Andreotti dei primi anni Novanta temeva di essere ucciso dopo l'omicidio dell'europarlamentare Salvo Lima e, per questa ragione, avviò la trattativa con i corleonesi di Riina. Secondo i pm, sarebbe stato proprio Mannino ad essere stato il motore della trattativa. I boss, a questo punto, risparmiarono i politici traditori e puntarono sui magistrati, in un certo senso più pericolosi.
Per questo motivo, afferma il giovane procuratore Tartaglia (affiancato dal procuratore aggiunto Teresi e dai sostituti Di Matteo e Del Bene) "la trattativa non ha bloccato i progetti criminali di Cosa Nostra ma li ha solo indirizzati verso obbiettivi diversi." Ed ha sottolineato:
"Nessuno degli imputati appartenenti alle istituzioni è sotto processo per aver trattato con i mafiosi ma sono accusati, invece, di aver dato un "contributo morale" alla minaccia e al ricatto mafioso perché sono stati intermediari o "perché hanno dato l'input alla intermediazione mafiosa, dai quali, nei precedenti processi per associazione mafiosa, il loro assistito è uscito peraltro assolto.
E' un'accusa durissima quella dei pubblici ministeri ma spetterà ai giudici la decisione finale. Certo è che la vicenda si presta a considerazioni piuttosto malinconiche a proposito di personaggi politici che hanno avuto per molti anni incarichi e ruoli importanti nell'universo politico e parlamentare del nostro Paese e le accuse non saranno facili da smontare. Per chi ha dedicato una parte non piccola degli ultimi trent'anni o, ancora di più, a studiare il fenomeno mafioso o, in altri casi, a combatterlo direttamente e a viso aperto, la sensazione è quella di essere oggetto piuttosto che soggetto di storia nel nostro Paese e questa è una sensazione che definirei malinconica o raggelante. C'é stata, a voler essere prudenti, una classe politica da sempre in oscuri commerci con le mafie e un giornalismo incapace di spiegarlo agli italiani.

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