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tranfaglia-nicola-web10di Nicola Tranfaglia - 3 ottobre 2014
E' il caso di parlare, ricordando l'intervento di ieri del magistrato Roberto Scarpinato, procuratore generale presso la Corte di Appello di Palermo, di fronte alla Commissione Antimafia, di quel che ha significato il "protocollo Farfalla", un accordo segreto tra il Dipartimento Penitenziario e i Servizi segreti per l'Interno (Sisde) per la gestione dei principali detenuti in regime di sicurezza, per raccogliere alcune informazioni fornite dai mafiosi, senza che rimanesse alcuna traccia nei registri carcerari. Questo è quello che ha rivelato l'attuale vicepresidente della Commissione Parlamentare di inchiesta sulla mafia, Claudio Fava parlando di un documento che è stato trovato fin dal 2006 durante una perquisizione disposta dai pm romani Maria Monteleone e Erminio Amelio che stavano indagando su Salvatore Leopardi, il magistrato palermitano finito sotto inchiesta per aver rivelato le informazioni di un pentito al Sisde.

Tutto è complicato da vicende precedenti che hanno avuto luogo nei primi anni del ventesimo secolo e che, a quanto pare, hanno avuto anche il governo Berlusconi, succeduto nel 2008 al secondo governo Prodi. Si è appreso proprio in questi giorni che un uomo dei servizi segreti avrebbe opposto il segreto di Stato sul protocollo Farfalla di fronte a una domanda precisa della Commissione parlamentare antimafia mentre il colonnello Raffaele Del Sole dell'AISI (ex Sisde) avrebbe rifiutato finora di rispondere alle domande dei magistrati. Peraltro il documento di cui ora molto si discute, cioè il protocollo Farfalla, è stato un documento introvabile fino a quando molto di recente è stato inviato a Palermo con gli interrogatori fatti nelle precedenti inchieste.
Da questo punto di vista, la situazione appare preoccupante se non interviene il governo anche se già il 24 novembre 2011 la Sesta Sezione del Tribunale di Roma ha stabilito che il processo contro Leopardi ed altri può proseguire a "prescindere, almeno per ora, dalla legittimità del segreto di Stato" riaffermato dal governo Berlusconi nel 2011. In una situazione come questa che il procuratore generale di Palermo ha definito ancora "preoccupante" riferendo alla Commissione Antimafia particolari importanti delle indagini sue e del sostituto procuratore generale Luigi Patronaggio in vista del processo di Appello contro il generale Mori e il colonnello Obinu.
Scarpinato, a quel che si apprende, ha insistito sui rapporti tra i servizi segreti, il Ros e i mafiosi implicati e questo fornisce elementi che forse possono far capire meglio il quadro politico complessivo che si determinò all'inizio degli anni novanta in Sicilia, come in Italia. Era stato Giovanni Falcone a dirci con chiarezza, qualche mese prima di essere ucciso, due cose che in questo periodo mi vengono spesso in mente di fronte a quel che succede ancora nel Paese che ancora, malgrado tutto, continuo ad amare. La prima è lo scetticismo di quel giudice, che io condivido e che è molto diverso da quello di Leonardo Sciascia (scrittore che peraltro ho molto amato). Falcone disse a Marcelle Padovani che parlava con lui: "Io credo nello Stato e ritengo che sia proprio la mancanza di Stato a come valore interiorizzato a generare quelle distorsioni presenti nell'animo siciliano; il ripiegamento sulla famiglia, sul gruppo, sul clan; la ricerca di un alibi che permetta a ciascuno di vivere e lavorare in perfetta armonia, senza alcun riferimento a regole di vita colletti
va. Che cosa se non il miscuglio di anomia e di violenza primitiva è all'origine della mafia? Quella mafia che essenzialmente, a pensarci bene, non è altro che espressione di un bisogno di ordine e quindi di Stato". E la seconda è, per certi versi, ancora più triste:" Nei momenti di malinconia mi lascio andare a pensare al destino degli uomini di onore: perché mai uomini come gli altri, alcuni dotati di autentiche qualità intellettuali, sono costretti a inventarsi una attività criminale per sopravvivere con dignità?". Di fronte a pensieri come quelli che ho ricordato, c'è prima di tutto il rimpianto per la sua morte precoce ma anche la consapevolezza di quella che il giudice palermitano aveva capito prima e meglio di tanti altri.

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