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tranfaglia-nicola-web2di Nicola Tranfaglia - 25 settembre 2014
Corre un certo timore in Occidente che la guerra, scatenata dall'ISIS in Iraq e in Siria, contro la coalizione formata dal presidente americano Obama, con i suoi quaranta alleati tra cui molti paesi arabi, possa coinvolgere singole persone o assai di più, e persino altri Stati (è significativa l'esecuzione del francese Hervè Gourdel sui monti della Cabilia e a Timbuctu è stato decapitato un uomo rapito da militanti jiadisti) nel confronto contro il Califfato.  
Basta guardare come l'ISIS sia presente con i suoi gruppi nell'Afghanistan e Pakhistan, nel Nord Africa e in Nigeria, nello Yemen e nel subcontinente indiano, in Libano e in Somalia, in Egitto e in Siria. Ora, al di là delle diverse fedeltà per l'uno e l'altro capo, come succede in Siria o altrove, l'assedio che l'organizzazione terroristica intende portare ad altre città turche come alla località curda di Koban è circondata dagli integralisti all'allarme che si è diffuso anche in Turchia rispetto a un possibile attacco di miliziani che facciano riferimento all'ISIS. Si tratta, per ora, di ipotesi ma se la forza dell'organizzazione estremista dovesse crescere fino a diventare un pericolo per altri Paesi. E, quando si legge quel che ha detto, la Premio Nobel yemenita Tawakkol che non è convinta a ritenere che siano sufficienti i raid condotti finora a risolvere il problema dell'integralismo che ha oggi il suo centro nel califfato che conosciamo ormai bene. Basta pensare alla capacità di reclutamento che l'Isis ha dimostrato fino a questo momento: gli stranieri in armi che combattono al fianco degli estremisti e della loro rete di terrore che rischia di espandersi sempre di più.

E al fatto che sono già dodicimila gli stranieri in armi e provengono da 74 paesi diversi mentre gli europei accorsi dietro le bandiere dell'ISIS sono già tremila e non si può escludere che crescano ancora, secondo le vicende che potranno accadere nei prossimi giorni o settimane. Il discorso del presidente Obama, pur accolto con visibile freddezza dall'Assemblea delle Nazioni Unite è stato efficace nel comunicare la decisa volontà dell'inquilino della Casa Bianca di distruggere il Califfato e ha invitato l'Iran a staccarsi da quella causa o per lo meno restare distante dallo scontro in armi che si sta combattendo nei paesi vicini. Del resto, anche in Bretagna quel che è già successo ha spinto il primo ministro a riunire il parlamento per ottenere il consenso a partecipare con lo Special Air Service a partecipare ai giù incominciati raid aerei contro il Califfato.
D'altra parte gli osservatori internazionali riconoscono che gli estremisti dell'ISIS hanno dimostrato finora una notevole abilità di comunicazione :"togliendo due lettere alla sigla dello Stato islamico nel Levante e in Iraq hanno evocato il mito di fondazione dell'Islam, un richiamo enorme per i militanti che hanno come riferimento due stelle polari: la jiad e lo Stato islamico."
Una forma di governo che non è limitata territorialmente e che ha l'ambizione di unificare l'intero mondo della mezzaluna sotto un rinato Califfato.
Che cosa può accadere, si chiedono altri osservatori, di fronte agli ostaggi uccisi che aumentano e l'arrivo di altri volontari sotto le bandiere dell'ISIS. Prevedere è ancora difficile ma che si verifichi un processo di allargamento della coalizione antioccidentale e araba che combatte il Califfato non si può escludere del tutto.
Ed è difficile pensare che tutto si riduca a un aspro confronto interno tra gli islamici che vogliono la pace e quelli che sostengono l'ISIS può apparire più rassicurante ma poco realistico. Si tratta, invece, di capire se le Nazioni Unite potranno avere un ruolo e se le potenze occidentali maggiori (gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Germania ma anche la Francia e l'Italia) avranno l'intelligenza e la forza di sconfiggere il Califfato in un tempo non troppo lungo. 

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