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renzi-gelato-gromdi Nicola Tranfaglia - 4 settembre 2014
Ci sono due cose ormai chiare agli italiani: la prima è che la vittoria dell'attuale segretario del PD e presidente del Consiglio Matteo Renzi, nelle ultime primarie e poi - nelle elezioni politiche europee - ha consentito all'ex sindaco di Firenze di esercitare una egemonia quasi indiscussa, all'interno di quello che resta nel governo attuale delle larghe intese, la maggior componente. La seconda è che le misure annunciate nei giorni scorsi dal presidente del Consiglio sembrano destinate a provocare conseguenze che noi italiani pagheremo assai care.

Primo tassello del puzzle da costruire. Nell'intervista al direttore del Sole24 Ore, il presidente Renzi, abbandona ti i suggerimenti del titolare della spending review, Carlo Cottarelli, e decide di tagliare, secondo la logica tremontiana dei tagli lineari, 20 miliardi, cioè tre in più dei diciassette già messi in bilancio. Ma l'on. Fassina, che oggi resta tra i pochi oppositori interno al  Renzismo egemonico nel Partito democratico, significa una cosa sola: "tagliare di circa dieci miliardi le pensioni, di quasi cinque miliardi la spesa per il personale, di oltre tre miliardi la spesa sanitaria."
Al presidente Renzi, non è mai piaciuto, sia perché è  stato scelto al suo predecessore alla presidenza del Consiglio Letta, sia perché ha sempre pensato che tagli di queste dimensioni devono esser decisi dal capo del governo e non dai singoli commissari (fosse anche uno solo) dei Ministeri. Del resto Renzi aveva usato la stessa tecnica in precedenza giacché il bonus degli ottanta euro era stato finanziato in parte con tagli lineari togliendo settecento milioni di euro sia allo Stato che agli Enti locali, riducendo in modo orizzontale la spesa per beni e servizi. E lo stesso procedimento era stato usato per la Rai giacché all'azienda radiotelevisiva sono stati tagliati  centocinquanta milioni di euro lasciando al direttore generale Gubitosi la decisione ulteriore se ridurre in maniera drastica i costi o lasciar fallire l'azienda.
La conversione di Renzi alle ricette di Tremonti hanno luogo in un paese nel quale i giovani italiani sono sempre più spesso disoccupati e tra quelli che lavorano oltre la metà ha un lavoro precario e meno di due terzi saranno ancora allo stesso posto tra dodici mesi. Secondo i dati dell'Employment Outlook dell'OCSE, in Italia la disoccupazione giovanile è raddoppiata tra il 2007 e il 20013, passando dal 20,3% al 40% e ha continuato a crescere anche quest'anno, toccando il 43,4% nel secondo trimestre. Inoltre il 36,3% dei posti di lavoro hanno una durata di un anno e meno, percentuale che sale al 40,2% per le giovani. "La bassa crescita in Italia implica che la disoccupazione resterà elevata per il resto dell'anno": nel 2014, il tasso salirà al 12,9% e solo nel 2015 dovrebbe iniziare a scendere, toccando quota 12,2 per cento. L'Italia è al penultimo posto per l'occupazione e soltanto la Grecia in Europa sta peggio di noi. Per la precisione, ci piazziamo al quinto posto tra i 34 paesi dell'OCSE dietro al 27,1% previsto per la Grecia, il 25% della Spagna, il 15% del Portogallo e il13,7% della Repubblica Slovacca.   
La perdita media degli statali e dei professori di ogni ordine e grado è stata calcolata dai sindacati (la CGIL, come è noto, si prepara allo sciopero) è calcolata, secon do la UIL,in tremila euro di media all'anno e con maggior precisione, secondo il Sole 24 ore, gli insegnanti perdono 3.300 euro, i docenti universitari
9.500 (598 i ricercatori) e i medici 7.500. E la Banca Europea degli Investimenti, di cui ha parlato, in un'intervista, il vicepresidente, Dario Scannapieco, che è la banca europea degli investimenti ha parlato per il nostro Paese di burocrazia ministeriale poco capace e di imprese a volte troppo piccole e poco coraggiose, di banche timide come spiegazioni della deflazione attuale.
Del resto gli stessi dati erano emersi dagli studi economici dell'OCSE nel maggio 2013: le medesime raccomandazioni e inviti che, a quanto pare, non sono stati finora raccolti a sufficienza. Da questo punto di vista, anche i dodici punti indicati dal presidente del Consiglio per una buona scuola sono in gran parte accettabili ma dovranno fare i conti con le condizioni reali in cui si trova oggi il settore della nostra istruzioni dopo vent'anni di populismo trionfante e le grandi novità, molto pubblicizzate dai media, di cui parla il governo del giovane ex sindaco di Firenze.

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