Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

papa-fracesco-c-getty-images-2di Nicola Tranfaglia - 24 giugno 2014
Sono passati ormai ventuno anni dal discorso di Giovanni Paolo II il 9 giugno 1993 nella Valle dei Templi, presso Agrigento, in cui il papa polacco disse: "Convertitevi, vi aspetta il giudizio di Dio." E c'è voluta, dopo tanto tempo, l'elezione del papa argentino, Jorge Bergoglio prima che la Chiesa facesse un ulteriore passo avanti e dicesse apertamente: "I mafiosi non sono in comunione con Dio. Sono scomunicati”. Sono queste le parole pronunciate da Sibari, dinanzi a duecentocinquantamila fedeli.
Alessandra Dino che ha appena pubblicato un libro intitolato “La mafia devota. Chiesa, religione, Cosa Nostra” analizza con esattezza il rapporto che lega l'aggravante per così dire, il 416 bis (per usare termini giudiziari) contro i seguaci delle mafie "italiane": La Chiesa prima ha chiesto il pentimento terreno, poi, dopo ventuno anni, ha introdotto un secondo livello.

La storia delle posizioni ufficiali della Chiesa e dei vescovi è lunga e un quotidiano milanese l'ha ricostruita a grandi linee. La prima condanna, con l'uso della parola scomunica è contenuta in una lettera collettiva dell'episcopato siciliano che ha la data del primo dicembre 1944: "Sono colpiti da scomunica tutti coloro che si fanno rei di rapine o di omicidio ingiusto e volontario. "Il riferimento, spiegano i canonisti, è ai "delitti di mafia" che vengono sanzionati con la scomunica ma senza che venga esplicitata la natura mafiosa di essi.
Otto anni dopo, nel 1952, la stessa pena è confermata dal Secondo Concilio Ecumenico plenario Siculo con queste parole: "Coloro che operano rapina o si macchiano di omicidio volontario, compresi mandanti, esecutori, cooperatori-incorrono nella scomunica riservata all'ordinario" (dalla quale cioè può assolvere soltanto il vescovo del luogo).
La parola mafia arriva soltanto nel 1982, con un documento della Conferenza episcopale siciliana che, dopo l'uccisione del prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa, conferma le pene del 1944 e del 1952 con questa premessa: "A seguito del doloroso acuirsi dell'attività criminosa che segna di sangue e di lutti la nostra regione, i vescovi, in forza della loro responsabilità di pastori, riaffermano la loro decisa condanna(...) sottolineando la gravità particolare di ricorrenti episodi di violenza che hanno spesso come matrice la mafia e la nefasta mentalità che la muove e la facilita.
La nota che accompagnava il documento chiariva le conseguenze di quel tipo di scomunica, avvertendo che "la condizione di scomunicato emergerà quando l'autore di uno dei due delitti si accosterà alla confessione, in quanto colpito da "scomunica" che i vescovi hanno "riservato a se stessi: dalla quale, cioè, soltanto loro possono assolvere. In sostanza: quella scomunica - in vigore ancora oggi - non colpisce chi fa parte di una cosca, ma chi compie una rapina o un omicidio, o ne è il mandante o il cooperatore. E' chiaro il salto ulteriore che si trova nel discorso di Papa Francesco. Il pontefice ha tagliato con un colpo solo un nodo attorno al quale la Chiesa siciliana prima e quella italiana dopo si sono arrovellate per settant'anni.
L'ultimo documento della CEI che tratta delle mafie è del 2010 e si intitola Chiesa italiana e Mezzogiorno. Ha parole durissime ma non usa il termine scomunica: "Riflettendo sulla loro testimonianza (dei martiri di mafia) si può comprendere che in un contesto come quello meridionale, le mafie sono la configurazione più drammatica del male e del peccato. In questa prospettiva, non possono essere semplicisticamente interpretate come espressione di una religiosità distorta, ma come una forma brutale e devastante di rifiuto di Dio e di fraintendimento della vera religione: le mafie sono struttura di peccato".
Parole tremende ma senza il termine scomunica. Nel 1994 l'intero episcopato italiano fece propria alla lettera quell'affermazione: "La mafia appartiene, senza possibilità di eccezioni, al regno del peccato e fa dei suoi operatori altrettanti operai del maligno. Per questa ragione, tutti coloro che in qualsiasi modo deliberatamente fanno parte della mafia o essa aderiscono, o pongono atti di connivenza con essa, debbono sapere di essere fuori dalla comunione della sua Chiesa".
Il salto è grande e  proprio il libro di Alessandra Dino che abbiamo segnalato prima mostra che il sessanta cinque per cento dei religiosi intervistati dall'autrice hanno manifestato molta ambiguità al riguardo e molti parroci hanno dato dei mafiosi una definizione antica all'interno dell'associazione: uomini di onore e sui collaboratori di giustizia, o pentiti che dir si vogliano, hanno dato un giudizio più negativo di quello dei mafiosi".

Foto © Getty Images

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos