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berlinguer-enrico1di Nicola Tranfaglia - 10 giugno 2014
E' il caso, se oggi si vuol cercar di capire quale è stato il ruolo di Enrico Berlinguer nella storia politica del nostro Paese, è necessario ritornare per un momento agli anni settanta quando ha inizio la transizione italiana come repubblica dei partiti a un paese come quello attuale che sembra ancora dominato dal populismo mediatico e da opposizioni al governo che hanno difficoltà a formulare alternative degne di questo nome.
Oggi dobbiamo constatare che nella lotta politica sono molto diffusi, in tutti gli schieramenti, l'assenza di dibattito, la prevalenza degli obbiettivi privati e personali da parte della classe politica, costumi nettamente oligarchici in cui non si esprime né una concezione del servizio pubblico né una concezione che si richiami a idee per il futuro che riguardino tutta la comunità.
Da questo punto di vista, continuo a credere che l'esperienza del leader sardo, pur con tutte le contraddizioni e gli obbiettivi non raggiunti, rappresenti ancora una lezione, partendo anzitutto dalla centralità di un binomio che oggi è stato assolutamente accantonato. Parlo in primo luogo del binomio etica-politica che è il solo strumento che genera veramente un consenso nelle masse popolari e non costringe a governare soltanto con la forza, cosa peraltro impossibile e foriera di crisi continue; ma, allo stesso tempo, a mio avviso, salvaguarda la dignità di quelli che governano e di quelli che sono governati.

L'altro binomio, che è in larga parte abbandonato anche a sinistra, è quello politica-cultura, che è, a sua volta, il solo strumento che consente proprio alla sinistra di ricostruire una visione del mondo che non può essere né la riproposizione di ciò che era stato il mondo fino al 1989, né può essere sostituita da un pragmatismo disposto a tutto, pur di ottenere e di mantenere il potere.
Berlinguer insegna anche a noi la necessità della strategia accanto alla tattica visto che, a mio avviso, ha posto la strategia al di sopra della tattica.
Le sue scelte fondamentali, se pensiamo alle formule del compromesso storico, da una parte e dell'alternativa democratica dall'altra, fanno parte di uno stesso percorso e seguono un cammino molto difficile, quello del Partito comunista italiano che si distacca sempre di più (sia pure lentamente) dal comunismo sovietico.
Di tale distacco Berlinguer nel 1981, al momento del colpo di Stato di Jaruzewski in Polonia, compì il primo passo, pur ancora insufficiente a rompere quel rapporto di ferro, anche se difficile e tormentato che aveva caratterizzato tutto il periodo precedente.
Berlinguer, dopo il fallimento del compromesso storico, nel momento in cui nasce la strategia dell'alternativa democratica, non è soltanto il più fermo oppositore della deriva corruttiva, economicamente fallimentare del Partito socialista guidato da Bettino Craxi, ma cerca di costruire una strada nuova sul piano dei contenuti politici, soprattutto  attraverso alcune indicazioni.
Il suo modo di parlare della questione morale nasce in relazione al panorama offerto dalle classi dirigenti di governo di fronte al terremoto del 1980 nel Mezzogiorno.
"Uno spettacolo - scrive in quei giorni il direttore di un importante quotidiano italiano - miserevole e terribile".
La reazione immediata di Berlinguer si traduce in un vero e completo atto di accusa contro la degenerazione dei partiti politici italiani e delle istituzioni democratiche e prosegue fino alla sua morte, negli ultimi anni di una breve esistenza.
Chi ha rivalutato negli ultimi anni la capacità di innovazione e modernizzazione dei governi di pentapartito, e in particolare del lungo governo Craxi, dovrebbe per coerenza criticare fortemente le scelte di Berlinguer, perché quel sistema di potere era fondato su una visione cinica della politica, espressione non di partiti di massa e di applicare metodi democratici.
E' vero che mancò, da parte di Berlinguer, una proposta compiuta sui modi necessari per riformare i partiti politici e le istituzioni democratiche ma il leader del PCI fu lasciato lasciato e, in ogni caso, fu lasciato solo e, in ogni caso, fu l'unico politico italiano, a intuire che la questione morale sarebbe diventata a poco a poco il problema centrale della lunghissima transizione italiana.
E' il caso, credo, di ricordare una sua dichiarazione rilasciata la sera di martedì 25 novembre 1980, quando divennero chiare le conseguenze del terremoto in Campania e Basilicata, visto che contiene elementi che dopo di allora si accentueranno in Italia di fronte agni lutto o sciagura: "Il dramma del terremoto - disse quella sera Berlinguer - che sopravviene sconvolgente in un momento di profondo turbamento per l'intreccio degli scandali e dei torbidi intrighi di potere, accresce all'estremo nella coscienza degli italiani l'esigenza di una svolta politica che garantisca onestà, correttezza e prestigio nella guida del paese e che dia alla nazione una direzione politica autorevole e capace di risanare e rinnovare la società e lo Stato."
Una seconda indicazione di Berlinguer è la consapevolezza che i partiti, da soli, non possono risolvere i problemi della crisi politica sociale economica e morale del nostro Paese. Di qui i suoi interventi, più volte ribaditi, sulla necessità di allargare il campo delle forze che devono collaborare al rinnovamento e al risanamento del Paese. Alla fine del 1982 Berlinguer dichiara di avvertire la crescita di un divario tra notevoli strati della popolazione e i partiti, e dice questo quando il suo partito è arrivato quasi al trenta per cento dei consensi.
Ci sono anche oggi partiti che non arrivano neppure al dieci per cento (anche se la Lega Nord, nei giorni scorsi, ha conquistato una città importante del Nord come Padova con un candidato che porta il cognome di un antico e noto ciclista dei tempi andati, Bitonci) e sono convinti di rappresentare le masse popolari italiane. Insomma, in quel periodo, Berlinguer prefigura l'avanzare della cosiddetta democrazia dei consumi che oggi è teorizzata dalla destra populista e che ha nei canali televisivi il suo principale strumento, di fronte alla quale anche una parte del centro sinistra la imita tranquillamente nei contenuti, nella scelta dei contenuti e persino in alcune proposte politiche.
E' il caso, a questo punto, di sottolineare un ultimo punto. Un anno prima, della sua morte, Berlinguer dichiara: per rinnovare noi stessi e spingere gli altri a rinnovarsi, dobbiamo mantenere ben netti e riaffermare i caratteri che ci contraddistinguono e ci fanno diversi. Bisogna che in linea di partenza sia dispersa ogni illusione di una nostra resa o collusione o omertà verso quei mezzi di gestione del potere che hanno inquinato il rapporto tra i partiti politici e il potere e tra questi e il governo, le istituzioni, la vita economica e la società.
In una simile concezione c'è, mi pare, una forte ansia di legittimazione dall'esterno, legata alla necessità di differenziazione e distacco dal comunismo sovietico.
E' come se, nel momento in cui si è sempre più consapevoli della necessità di differenziazione e distacco dal comunismo sovietico, emergesse e si facesse più forte l'esigenza di legittimazione da parte delle democrazie parlamentari e presidenziali occidentali.
Questo elemento - è difficile forse oggi concludere diversamente - tende nel tempo a diventare non più una sorta di necessità derivante da questo distacco, ma una sorta componente di quel pragmatismo, in cui spesso il realismo si confonde con il cinismo che ha  caratterizzato gli anni Novanta e che caratterizza ancora la situazione in cui stiamo vivendo.

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