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roma-olimpico 640di Nicola Tranfaglia - 6 maggio 2014
Viviamo in un paese, l'Italia, in cui ci sono violenze di singoli e di gruppi di persone che sono sempre consentite e altre che lo sono per anni e decenni e poi a un certo punto non lo sono più in quanto hanno provocato reazione della politica o del sistema dei media, soprattutto di quelli televisivi. Fanno parte della prima categoria quelle domestiche che purtroppo spesso si sostituiscono ai tentativi di dialogo e sfociano in atti che sarebbe meglio evitare al fine di salvare successivamente i rapporti tra coniugi o tra i genitori e i figli.
Ma chi sfoglia la cronaca dei quotidiani e dei settimanali sa bene che, nel nostro Paese come altrove, sono molto frequenti e, più di una volta, giungono al traguardo terribile dell'uccisione del parente con cui si litigava. Ma alla seconda appartengono a quelle che potremmo definire, almeno in una certa misura tutta da definire, quelle che fanno parte tradizionalmente di un evento spettacolare e si trascinano per anni in una misura che varia a seconda del momento in cui l'evento ha luogo e al significato che occupa all'interno della serie di cui fa parte.

Stiamo parlando - ormai è chiaro - di una partita di calcio che si colloca in un campionato stagionale o all'interno di una gara per una coppa, che sia il campionato nazionale o internazionale o una coppa europea, continentale o addirittura intercontinentale. E non ci vuole un particolare acume per rendersi conto che oggi in Italia c'è un ulteriore pericolo che la spirale di violenza cresca, contagi anche gli uomini in divisa delle forze dell'ordine e le conseguenze diventino grave anche in altre occasioni in cui si trovano di fronte forze dell'ordine e dimostranti (come è apparso chiaro nella manifestazione dei dimostranti NOTAV a Torino). E la situazione appare più grave se a questo si aggiunge la presenza corposa della camorra campana nei campi di calcio grazie all'organizzazione sempre più perfezionata del calcio scommesse. Il collaborante di giustizia Armando De Rosa ha ricostruito in maniera precisa il nuovo calcioscommesse: "Hanno un foglio in A4 tra le mani, qui da noi si può scommettere su tutto anche sulle partite più strane, magari quelle più a senso unico, quelle che sembrano già scritte." Qui - ha commentato qualcuno che conosce la situazione locale - il banco non salta, resta fermo. Altri collaboratori di giustizia completano il quadro. Uno di loro fa una serie di distinzioni: quando le puntate sono di ventimila euro, le accettiamo ma si capisce che arrivano comunque da gente del sistema, quasi come se fosse una sfida. E quando sono più basse? La risposta è pacata: qui da noi vengono anche da Fuorigrotta, dal Vomero insomma dal centro di Napoli. In questo caso, giocano puntate più basse, sono scommettitori normali." E qualcuno nella rete ma non solo in quella dice che a modo loro gli ultra sono diventati un soggetto politico antagonista nella società italiana. Con sue logiche, una sua enorme forza, con un suo specifico potere di ricatto. "Il tifo ultrà, dicono altri, doveva consumare due guerre: una interna, fra napoletani e romanisti, in corso da anni e anni. L'altra con il potere e con il governo. Per aumentare il suo peso politico, per far sapere che a loro l'educazione non la insegna nessuno. Lo hanno fatto. E' successo. Sono le loro elezioni queste. Se volete, potete ancora fingere che non c'è il Partito Sommerso che vive negli stadi italiani. Ma in realtà c'è e anche Saviano che vive a Napoli e su Gomorra ha fondato la sua fortuna mediatica non lo vede. Scrive un giornalista sportivo anonimo ma, a mio avviso, acuto: "Decidete che cosa fare: o la nenia dell'anticamorra o la presa di coscienza che c'è una metastasi nel calcio italiano che si serve del pallone per fare politica. Dura da, grosso modo, trent'anni.
Ogni tanto fa un morto. E ha distrutto uno spettacolo meraviglioso, creando la mostrificazione burocratica per gli onesti, senza liberarli dalla paura. Ne abbiamo visto in questi ultimi anni (ma si potrebbe dire anche decenni) di violenze che hanno caratterizzato gli avvenimenti sportivi di casa nostra. Potremmo anzi notare (ma non voglio far mostra di deduzioni sociologiche) che non c'è stata gara di qualificazione o di finale delle coppe più note o dei campionati più importanti in cui una parte dei tifosi - che da qualche tempo si definiscono ultras - ha rotto le transenne passando nel campo avverso per portarvi violenze e offese. L'ultima volta è successo due giorni fa alla finale Napoli-Fiorentina per la coppa Italia ma le volte in cui è successo non riescono neppure più a contarsi. Eppure queste violenze sembra che servano a dare sprint e interesse mediatico a gare di calciatori professionisti che tirano quattro paghe per il lesso e non sono certo accaniti come i tifosi che li seguono a casa quanto nelle sedi in cui vanno a giocare. Ora abbiamo assistito - e non possiamo dissentire - che l'attuale ministro dell'Interno ha dichiarato che adotterà misure draconiane per riportare l'ordine negli stadi di calcio ma sarà permesso - mi auguro - essere piuttosto scettici sull'efficacia delle misure, partendo da una ormai lunga esperienza.
Non è mai successo nel settantennio abbondante dell'Italia repubblicana che i ministri dell'Interno volessero (o potessero, questo è tutto  da verificare) intervenire in maniera efficace sulle opposte tifoserie e porre fine a violenze che, più di una volta, hanno determinato la morte di altri tifosi o di altri innocenti spettatori delle partite.

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