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mastella-clementedi Nicola Tranfaglia - 11 aprile 2014
Guai giudiziari e, forse anche, politici tutt'altro che lievi per il senatore Roberto Formigoni del partito di Alfano - dopo molti anni di vicinanza a Berlusconi - e per il suo giovane amico e collaboratore Alberto Perego, vicini entrambi al finanziere milanese Daccò che, con Antonio Simone, avrebbe gestito un tesoro di quasi 50 milioni di euro legati ai gruppi sanitari privati Maugeri e San Raffaele della regione Lombardia.
Chi ricorda che il senatore è stato per dieci anni presidente della Regione Lombardia e magna pars della Compagnia delle Opere, braccio imprenditoriale di Comune e Liberazione non può credere a priori alle dichiarazioni decise di assoluta innocenza che l'uomo politico lombardo ha dichiarato ieri all'indomani del sequestro conservativo eseguito dal giudice dell'udienza preliminare Paolo Guidi che contesta al senatore un'utilità accertata di almeno otto milioni di euro e non giudica fondate le prove portate fino ad oggi dalla difesa di Formigoni.

Deve attendere che il processo vada avanti e che i giudici accertino che le tre ville, come quella superlussuosa in Sardegna più l'altro denaro contestato già a Formigoni per altri reati che lo hanno rinviato a giudizio per il prossimo sei maggio, siano liberati dai gravi sospetti che hanno condotto magistrati diversi a sottoporlo a provvedimenti giudiziari. Sine ira ac studio, come si diceva una volta nelle aule giudiziarie, soltanto di fronte alle prove che in questi casi emergono - malgrado tutto - con maggiore certezza che di fronte ai processi legati ai sentimenti e alle passioni dei vari interlocutori.
Non c'è dubbio che, in una situazione politica ed economica così grave e alle misure (a mio avviso, non molto efficaci ma piene di buona volontà) che il governo sta cercando di prendere, le ricchezze attribuite al "Celeste", come gli attuali non piccoli emolumenti legati alla sua condizione di senatore, fanno una certa impressione che si lega peraltro ad altre due notizie che in questi giorni si sono diffuse.
La prima è la vicenda dell'UDEUR e del suo leader assoluto Clemente Mastella (in foto) che sta per essere processato con sua moglie Sandra Lonardo e diciassette persone per associazione a delinquere. Il tutto legato ad aver compiuto "una serie indeterminata di delitti contro la pubblica amministrazione" che mirava soprattutto "all'acquisizione del controllo delle attività pubbliche di concorso per il reclutamento di persone e gare pubbliche per appalti e acquisizioni di beni e servizi banditi da enti territoriali campani, aziende sanitarie e agenzie regionali". Accuse - è stato osservato - almeno credibili per gli incarichi che in Campania Clemente Mastella e sua moglie hanno avuto nell'ultimo decennio.
La seconda è il dibattito in corso per una richiesta che tutti quelli che lottano contro le associazioni mafiose, a vario titolo, hanno sostenuto da molti anni. Parlo del disegno di legge per l'autoriciclaggio (che è, in due parole, l'occultamento della provenienza del denaro per poterlo utilizzare negli scambi leciti sul mercato) che oggi è stato chiesto dalla Banca d'Italia, dall'Agenzia delle Entrate, dalla Procura Nazionale Antimafia, dalla magistratura come dall'OCSE. Collegato a un rientro dei capitali sempre più urgente e necessario (se si pensa che gli italiani hanno nascosto all'estero qualcosa che è tra i 180 e i 200 miliardi di euro!), la nuova norma sull'autoriciclaggio è fondamentale per tagliare le gambe alla criminalità mafiosa e per questo è ancora in bilico nelle aule parlamentari. Sarà una prova centrale a farci capire se c'è, nell'attuale parlamento, la volontà effettiva oppure no di fare un passo indispensabile per una maggiore efficacia della lotta alle mafie.

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