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porcasi-eccidio-fosse-ardeatinedi Nicola Tranfaglia - 23 marzo 2014
Settant'anni fa avvenne il massacro nelle Fosse Ardeatine, tra le catacombe romane per l'attentato compiuto in via Rasella proprio il 23 marzo, venticinquesimo anniversario della fondazione dei Fasci di combattimento, contro l'undicesima compagnia del III Reggimento di polizia di Bolzano delle SS. Persero la vita in quell'eccidio 335 prigionieri italiani, tra i quali l'ex sottosegretario fascista Aldo Finzi e il sacerdote don Pietro Pappagallo,cappuccino delle suore del Buon Gesù, raccolti con molte difficoltà e in meno di ventiquattro ore per ottemperare all'ordine diretto di Adolf Hitler dal tenente colonnello delle SS Herbert Kappler, capo del servizio di sicurezza (SD) e rappresentante della Gestapo a Roma. Poichè Kappler non era riuscito, malgrado l'attività frenetica a trovare tutti gli italiani da fucilare, l'ufficiale tedesco si rivolse al questore di Roma Pietro Caruso e al comandante della banda fascista Kock per ottenere i 50 nomi mancanti e così si giunse prima a 320 nomi e, dopo la morte di un altro nazista, a quella finale di 333 o, come avvenne di fatto, 335 prigionieri da uccidere, naturalmente adottando per molti di loro la sola qualifica di "ebreo discriminato", come nello stesso caso dell'ex sottosegretario Finzi, inviso a Mussolini per aver votato contro di lui nella seduta del Gran Consiglio del 25 luglio 1943.

La condizione decisiva, posta dal comando supremo tedesco a Berlino, era che la rappresaglia fosse compiuta in maniera rapida e segreta (anche per evitare altre azioni della resistenza romana) e perciò i prigionieri, destinati ad essere uccisi, non vennero informati di quel che li attendeva (tra l'altro il volantino nazista come si è scoperto solo ora da un documento custodito nell'Istituto romano della Resistenza sbagliava il giorno dell'attentato e faceva pensare che ci fosse da parte) e furono condotti con le mani legate dietro la schiena al massacro e fucilati dagli ufficiali nazisti, tra i quali Schutz e Priebke con gli altri 11 ufficiali del corpo nazista. Alcuni ufficiali (tra i quali il comandante del III reggimento, il tedesco maggiore Dobbrik) non accettarono di comandare la fucilazione e lo stesso ministro della Repubblica sociale italiana Buffarini Guidi pensò bene di lasciare la responsabilità diretta dell'ordine al questore Caruso limitadonsi a non manifestare nessuna opposizione. Si assistette, insomma, ancora una volta alla prudenza di alcuni militari tedeschi e italiani che temevano a quel punto una vera insurrezione della capitale che proprio con l'attentato di via Rasella aveva mostrato di essere bene organizzato da un punto di vista militare e si preparava a sferrare nuove azioni contro l'opprimente occupazione delle truppe naziste e della Repubblica sociale, come peraltro meno di un anno dopo sarebbe successo.
Il massacro si impose all'attenzione delle potenze alleate per le notevoli dimensioni e la fredda ferocia dei nazifascisti, la presenza di un religioso noto come don Pietro Pappagallo e le notizie dei rovesci che incominciavano ad aver luogo ad oriente e che di lì a qualche mese avrebbero mutato il destino del secondo conflitto mondiale.

Dipinto © Gaetano Porcasi

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