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colloquio di lavorodi Nicola Tranfaglia - 21 marzo 2014
Il decreto numero 34 del 20 marzo, appena firmato dal Capo dello Stato, è il primo atto del Jobs Act, prevede che la durata massima dei contratti sia di 36 mesi invece che 12 (riforma Fornero), avrà 8 proroghe (invece che una), nessuna pausa (una era prevista con la Fornero), non oltre il 20 per cento dell'organico (prima c'erano 10 o 20 giorni) apprendistato condizionato alla conferma di almeno al 30 per cento degli apprendisti, rifinanziati per fortuna i contratti di solidarietà. Che il contratto a termine sia peggiorato lo direbbe anche un ragazzo con un pò di sale in zucca giacchè su un punto fondamentale che è quello dell'apprendistato: su quello, guardato già con atteggiamento critico dalle imprese sulla forma scritta per il piano individuale (che, nel decreto, salta completamente e l'assunzione di nuovi apprendista con l'offerta formativa pubblica, ricondotto ad elemento discrezionale.

Ora se si tiene presente che togliendo l'obligarietà alla formazione è molto probabile che moltissime imprese, se non tutte, non la facciano o la usino per avviare alla professione alcuni e tenersi soltanto i più bravi in fabbrica. E qui nessuno sembra ricordare che l'Unione Europea prevede che la formazione sia obbligatoria e non facoltativa. Ma questa è la ricetta dell'attuale governo di Matteo Renzi e, almeno per ora e chissà ancora per quanto tempo, non se ne proprio può fare a meno.
In questo senso vale la pena ricordare quello che un intellettuale, degno di questo nome come Roberto Saviano, ha scritto su La Repubblica diretto da Ezio Mauro (che, dopo ventisei anni di collaborazione feconda, con Eugenio Scalfari,  decise qualche anno fa di sospendere la mia collaborazione) ha dettato un decalogo che vorrei riprodurre perchè detta con la necessaria severità (o devo ricordare che l'Italia nella classifica mondiali tra i paesi è sul piano della corruzione al 72 posto vicino al Togo e ad Haiti?) dieci regole abbastanza chiare e severe contro la pesante corruzione che affligge il paese e rende davvero difficile definirlo un paese compiutamente democratico. La nomina del giudice Cantone è stato un raggio di sole che per uno come me, che passa il tempo a scrivere libri sulla storia della mafia, e non può non essere felice per la sua nomina.
Ma il decalogo parla da solo e mi limito ad enumerare i dieci punti che lo compongono:
1) Con Cantone ci saranno altri quattro membri dell'Autorità. Se non saranno di alto profilo e non andranno d'accordo con il magistrato non so che cosa succederà;
2) Bisogna dare all'Agenzia poteri di intervento immediato che oggi non ha;
3) Il governo dovrà dare all'organismo poteri sanzionatori per colpire quelle parti delle amministrazioni che non collaborano o che non adempiano agli obblighi previsti dalla legge;
4) Devono essere ampliati i poteri nelle materie in cui girano soldi. Cioè gare d'appalto, finanziamenti, grandi eventi, cantieri.
5) Bisogna allontanare dalle amministrazioni i dipendenti condannati.
6) E' fondamentale prevedere incompatibilità tra cariche politiche e amministrative o di gestione.
7) Non bisogna attenuare le cause di incandidabilità.
8) Bisogna modificare i termini della prescrizione per i reati in materia di prescrizione.
9) Introdurre il reato di autoriclaggio e rendere più severe le pene per il falso in bilancio.
10) Modificare la legge contro il voto di scambio.
Non è un documento lungo e neppure difficile da leggere ma sottolinea i punti decisivi per una battaglia decisa contro la corruzione che rafforza in Italia l'antipolitica e allontana i giovani dall'impegno.
Possiamo chiedere a questi ultimi condizioni contrattuali più difficili e flessibili secondo quel che dice il decreto numero 34 appena scritto e pubblicato e nello stesso tempo non lavorare con efficacia contro le mafie e la corruzioni dilaganti? A me pare proprio di no.

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