di Nicola Tranfaglia - 13 febbraio 2014
La vera emergenza nel nostro paese è, da alcuni anni, quella economica e sociale. Certo è chiaro che occorre riscrivere la legge elettorale dopo gli anni del "Porcellum" di Calderoli e la pronuncia elettorale che ci ha consegnato un proporzionale che non consente a nessun partito di governare, pur dopo una vittoria elettorale. Le riforme istituzionali che pur sono necessarie e urgenti richiedono almeno due anni di tempo.
Il problema vero è il programma per rispondere a chi, oltre all'azienda o a un lavoro, ha perduto anche la speranza nel futuro e la sua dignità di lavoratore o imprenditore che vuol partecipare alla ricostruzione dell'Italia dopo venti anni di disastroso populismo berlusconiano e alcuni mesi di un'agenda Monti che non ha risolto i problemi del paese.
Il programma per realizzare una svolta deve articolarsi - lo ha detto l'ex viceministro Fassina - a partire da una chiara analisi: la rotta mercantilista attuata dai paesi dell'euro zona, segnata da cieca austerità e svalutazione nei fatti del lavoro di ogni genere, aggrava le condizioni dell'economia e gonfia i debiti pubblici, aumentati nell'euro-zona dal 65 per cento deò 2008 al 95 per cento del 2013. Nell'Eurozona e in Italia, una ripresa in grado di riassorbire la disoccupazione non è per nulla in vista. Nè sono raggiungibili gli obbiettivi di finanza pubblica previsti nel Documento economico-finanziario del 2014. E' del resto impossibile ridurre o stabilizzare il debito pubblico in uno scenario di stagnazione di medio o lungo periodo. Sarebbe controproducente cercare di raggiungere gli obbiettivi con ulteriori manovre correttive nei prossimi mesi.
Non è il caso di pensare al taglio della spesa pubblica che, al netto degli interessi sul debito, è tra le più basse dell'euro zona. Risparmi significativi possono derivare soltanto da una profonda ristrutturazione dello stato e del Titolo V. Le risorse liberate devono però prima di tutto integrare i capitoli decimanti negli anni scorsi dai tagli orizzontali, in primo luogo la scuola pubblica e le politiche sociali. L'eccessivo peso delle imposte va ridotto attraverso il recupero della ampia evasione fiscale che è davvero inconciliabile con la media europea.
Puntare invece, come alcuni chiedono, a un taglio consistente della spesa vuol dire distruggere definitivamente il welfare per le masse popolari e i lavoratori.
Soltanto l'allentamento da una irrealistica politica di bilancio può aprire spazi per innalzare il livello delle attività produttive e creare nuove possibilità di lavoro.
Occorre preparare un piano per la redistribuzione del tempo di lavoro e politiche industriali per l'innovazione sostenibile e e la riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni.
O cercare una svolta accettata a livello europeo. Oppure un'alleanza da costruire tra i paesi europei soffocati nella spirale svalutazione del lavoro - recessione - debito pubblico: la permanenza nell'euro e la rigoneziazione degli impegni sottoscritti.
Questi sono i problemi che un governo italiano deve porsi se vuol uscire dalla crisi che l'attanaglia. Altrimenti non è cambiare la squadra sull'onda di un nuovo capo del governo che da solo può risolvere i nostri problemi.