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travaglio-marco-webdi Marco Travaglio - 27 agosto 2013
Da qualche giorno, mentre la grande stampa dipinge un panorama da tregenda, con Berlusconi che sta per far saltare il governo perché Napolitano e il Pd non vogliono saperne di salvarlo, ragion per cui l’Italia orfana del-l’inciucio rischia di perdere la bellezza di 6 miliardi (il copyright della barzelletta è del Sòla-24 ore), il Fatto segue con grande passione le gesta degli “scudi umani”.

Chi sono costoro? Sono strani personaggi molto flessibili, anzi pieghevoli, posizionati preferibilmente nei dintorni del centrosinistra ma molto graditi all’occorrenza anche a destra, grondanti lauree in scienze giuridiche, lunghi curricula accademico-istituzionali e ottime entrature al Quirinale. Radiografando i loro cervelli sotto il copricapo da corazziere, si ottengono figure geometriche tortuose e irregolari dalle forme più bizzarre: ora a zigzag, ora a serpentina, ora a torciglione, ora a banana, ora a sifone del water. Il che, paradossalmente, spiega le loro fulminanti carriere e fortune. Tornano utili ogni qual volta – il che accade di continuo – il Cainano ricatta tutti e minaccia di spaccare tutto perché una sentenza, una legge, uno o più articoli della Costituzione, del Codice penale, o di procedura, non collimano con i cazzi suoi. A quel punto, a un segnale convenuto, un fischio a ultrasuoni non udibile dai comuni mortali, questi cavilli di razza entrano in azione disponendosi a testuggine. Il primo a partire è stato il presidente emerito della Consulta, Capotosti: aveva sempre sostenuto che il decreto Severino non ammette deroghe né interpretazioni: B., condannato in via definitiva a 4 anni per frode fiscale, decade automaticamente da senatore e non può ricandidarsi per i prossimi sei anni. Poi però i berluscones scoprono all’improvviso che la Severino è incostituzionale perché si applica anche ai condannati per reati commessi prima della sua entrata in vigore. E riecco Capotosti argomentare con la stessa sicumera di cui sopra che forse, in effetti, a ben guardare, potrebbe aver ragione anche chi sostiene l’incostituzionalità della Severino “retroattiva”, dunque il Senato potrebbe travestirsi da giudice e sollevare eccezione di incostituzionalità della Severino dinanzi alla Consulta. In men che non si dica, si aprono le cateratte. E sbucano giuristi e costituzionalisti un po’ ovunque che si battono una mano in fronte e dicono: “Ma certo, com’è che non ci abbiamo pensato prima?!”. Giovanni Fiandaca, folgorato sulla via di Arcore, cade da cavallo, anzi da cavillo, e scopre d’un tratto che “la Severino è un ginepraio” e “va approfondita”, precisando poi che “noi giuristi siamo in grado di sostenere sia l’una sia l’altra tesi”. Infatti segue a ruota Valerio Onida, che ribadisce: la Severino vale anche per i reati commessi prima, ma chissà che non abbiano ragione quelli del dopo, quindi si vada alla Consulta. Ed ecco Carlo Galli, passato direttamente dai soffietti napolitani su Repubblica al seggio parlamentare nel Pd: alla Consulta, alla Consulta. E poi Umberto Ranieri, aiutante di campo di Re Giorgio: consultare la Consulta. E pure Michele Vietti, vicepresidente del Csm di cui è presidente Napolitano: alla Corte, alla Corte. E Violante, l’intransigente che si taglia con un grissino: lui il ricorso alla Consulta lo chiama “diritto di Berlusconi a difendersi” (da una condanna definitiva!). C’è persino un magistrato, il Pg di Catanzaro Jannelli, che tre anni fa si ribellò a una perquisizione dei colleghi di Salerno che indagavano sugli insabbiamenti delle inchieste di De Magistris: scrive un’intera pagina sull’autorevole Il Giornale contro la legge Severino che gli sta proprio sul gozzo. L’unico che non ha ancora capito come il Pd salverà B. è il segretario per caso Epifani: lui continua imperterrito a ripetere che “la legge è uguale per tutti”, “il Pd non si piega ai ricatti”, “voteremo la decadenza”. Ma non precisa quando.
Il giochino è tutto qui: se la giunta o l’aula del Senato, camuffandosi da tribunali, ricorrono alla Consulta contro la Severino prima di votare la decadenza di B., non è che sperino di avere ragione. La Corte risponderà che la legge è perfettamente legittima (la decadenza dei condannati vale da 20 anni per i consigli comunali, provinciali e regionali, con decine di precedenti), o forse dichiarerà inammissibile il ricorso perché il Parlamento non ha alcun titolo per presentarlo. Ma lo farà coi suoi tempi medi: fra uno o due anni. Intanto B. resta senatore, va ai servizi sociali e dopo qualche giorno magari Napolitano gli commuta la pena in una comoda multa. Quanto all’interdizione dai pubblici uffici, quando la Corte d’appello l’avrà ricalcolata, potrà estinguersi con il servizio sociale del Cavaliere penitente. Tutto ciò non accadrebbe se il governo cadesse, la legislatura finisse e B. si ripresentasse: essendo ineleggibile in base alla Severino senza più la copertura dei suoi complici in Senato, si vedrebbe annullare la candidatura dalla Corte d’appello. Ecco perché abbaia tanto, ma non morde (ha addirittura vietato ai suoi le dichiarazioni polemiche). L’ennesima estorsione sta per andare a buon fine e lui non vuole disturbare i manovratori-estorti. Ma, soprattutto, deve aiutarli a nascondersi dagli elettori.

PS. Ovviamente il giudice Antonio Esposito va immediatamente punito senza rinvii, ricorsi, diritti di difesa, supplementi di approfondimento: lui ha condannato, mica è stato condannato.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

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