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teresi-vittorio-web1Intervista al procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi (foto)
di Giovanni Bianconi - 19 luglio 2013

Palermo. «Se qualcuno immagina che dopo la sentenza di ieri ci arrendiamo, si sbaglia di grosso. Il processo su quella che voi chiamate trattativa c'è e resta, si fa e si farà. Ci possono minacciare, intimidire, entrare in casa come pure è avvenuto, ma non servirà a niente. Ci devono ammazzare…».

Perché dice questo, dottor Teresi?
«Perché sento che intorno a questa vicenda non c'è la voglia di capire come sono andati i fatti, bensì disagio, imbarazzo, paura. E non solo da parte degli imputati. Abbiamo capito che c'è una guerra psicologica contro di noi, vincerà chi ha le corna più dure».
Il giorno dopo l'assoluzione del generale Mario Mori dall'accusa di aver favorito Bernardo Provenzano in ossequio alla trattativa fra Stato e mafia, il procuratore aggiunto Vittorio Teresi, che guida il pool di rappresentanti dell'accusa dopo l'addio di Antonio Ingroia reagisce ai commenti che vedono in quella sentenza un colpo al processo appena iniziato sul presunto «patto scellerato» tra cosche e istituzioni.

Ammetterà che il processo Mori l'avete perso...
«Questo appartiene alla fisiologia di un dibattimento approfondito, che è durato cinque anni, nel corso del quale accusa e difesa hanno espresso le loro tesi e alla fine un tribunale ha deciso. Ha fatto una valutazione negativa della nostra impostazione che non è definitiva, però ha stabilito che i fatti c'erano, non considerandoli reati. Quando leggeremo le motivazioni della sentenza sono sicuro che troveremo elementi utili anche per l'altro processo, che dovreste smettere di chiamare sulla "trattativa"».

E come dovremmo chiamarlo?
«Ricatto, estorsione; la minaccia di omicidi e stragi per ottenere benefici. È ciò che abbiamo contestato agli imputati, e non è concepibile che qualche professore confonda l'articolo 338 del codice penale con una trattativa, solo sulla base di una memoria riassuntiva scritta in fretta e furia dalla Procura. Il processo è fatto di 78 faldoni di carte ormai pubbliche, il pm ha parlato 9 ore all'udienza preliminare in cui abbiamo ottenuto il rinvio a giudizio; ci sarà qualcosa di più di una semplice e forse deleteria memoria, oppure no?».

Però in quei 78 faldoni ci sono quasi tutti gli atti del processo Mori, nel quale — stando al dispositivo — i giudici hanno mostrato di non credere che l'imputato abbia partecipato o ceduto al ricatto. Come fa a sostenere che una simile bocciatura non inciderà sull'altro dibattimento?
«Forse lo rende più difficile, complicato, ma certo non lo azzera. Dovremo leggere le motivazioni, capire. Nelle assoluzioni del passato, ad esempio nei processi Andreotti e Mannino, c'erano elementi utilissimi a svelare i rapporti tra mafia e politica, a partire dagli anni Sessanta e Settanta. Poi ci hanno detto che per condannare servivano altri elementi che non eravamo riusciti a trovare, ma che Paese è quello che per arrivare alla verità ha bisogno solo delle condanne?».

Ma i processi dovrebbero servire ad accertare reati e individuare presunti colpevoli...
«Come magistrato resto convinto che il processo è il luogo dove si deve cercare la verità. Perciò mi stupisce la sospetta mancanza di curiosità intorno al nostro processo, come se la verità non interessasse. Al contrario, si avverte un clima di paura. Ma noi andiamo avanti, senza tenere conto delle pressioni interne ed esterne. I processi si fanno nelle aule di giustizia, non in quelle universitarie o sui giornali».

Veramente anche voi pubblici ministeri siete stati accusati di parlare un po' troppo fuori dalle aule. A cominciare dal suo predecessore Ingroia, passato quasi contestualmente dall'indagine alla politica.
«La polemica politica nei suoi confronti s'è trasferita sul processo, e io a questo non ci sto. Ho accettato di mettermi in gioco perché credo nella sua solidità, perciò dico che lo faremo e ci impegneremo con tutte le nostre forze. Anche se continueranno gli insulti, a cui ormai siamo abituati. E pure le pressioni, più il processo andrà avanti e più aumenteranno. Ma non ci fermeranno».

Tratto da: Corriere della Sera

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