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travaglio-marco-web29di Marco Travaglio - 6 luglio 2013
Spiace per i tromboni che da mesi si prodigano contro il processo sulla trattativa Stato-mafia, ma quella di ieri è stata un’altra bella giornata per la Giustizia italiana. La Corte d’assise di Palermo presieduta da Alfredo Montalto ha fatto a pezzi le eccezioni dei difensori (ufficiali, ma soprattutto ufficiosi) degli imputati di Stato per trasferire la competenza a Roma. È il destino di un processo che, fuori dalle aule di giustizia, cioè nei palazzi della politica, nelle tv e sui giornaloni, vede gli imputati sempre innocenti, immacolati e candidi come gigli di campo. Ma, appena approda davanti a un giudice terzo, vince sempre la Procura. Era accaduto all’udienza preliminare, col rinvio a giudizio di tutti gli imputati. È riaccaduto ieri nell’aula bunker dell’Ucciardone. E dire che l’altroieri l’Università di Palermo, con uno zelo e un tempismo degni di miglior causa, aveva radunato i migliori difensori d’ufficio di Mancino, Mannino, Conso, Dell’Utri, Mori e De Donno per una gran soirée simposio contro il processo, alla presenza di Macaluso, storici, giuristi e persino magistrati in servizio o in pensione (c’era pure Di Lello), tutti stretti attorno al nuovo idolo del partito anti-pm: l’esimio professor Giovanni Fiandaca, già candidato trombato alle primarie del centrosinistra per il Comune di Palermo e autore di uno squisito “saggio” pubblicato sul Foglio col raffinato titolo “Il processo sulla trattativa è una boiata pazzesca”.

Talmente pazzesca che tutti gli imputati, a suo dire innocenti, sono a giudizio; e il processo, a suo dire inevitabilmente destinato a Roma, rimane a Palermo. Un figurone. Cose che càpitano quando si scrivono saggi o articoli prêt-à-porter, con procedura d’urgenza, senz’avere il tempo o la voglia di leggersi gli atti del processo. Anche Macaluso, che almeno non insegna, dunque fa meno danni, si prodiga da mesi contro quel processo: specie da quando l’amico Napolitano fece di tutto per soffocarlo nella culla a gentile richiesta di Mancino. Ultimamente si è esposto a epiche figuracce scopiazzando la memoria difensiva di Mori, con errori di date e di fatto da matita rossa e blu. Chi volesse farsi quattro risate può ascoltare su Radio Radicale la sua scombiccherata prolusione palermitana (lui, per dire, il 41-bis lo chiama “441”). In stereo con Mori, che attribuisce i suoi guai giudiziari a una congiura di giornalisti capitanata dal sottoscritto, il Macaluso deplora “gli attacchi rozzi e strumentali alla magistratura, dovuti alle vicende personali (sic, ndr) di Berlusconi”, sferrati da chi? “Da Travaglio, quando questi organi prendevano decisioni sgradite all’una o all’altra (sic, ndr)”. Invece Fiandaca, “per la sua autorevolezza e il suo argomentare, ci dà il senso che una critica alle sentenze e alle procure può e deve essere fatta”. Ecco, Fiandaca con quella bocca può dire ciò che vuole, perché, diversamente da altri, autorevolmente argomenta. Un po’ come il ragionier Ugo Fantozzi, a cui il titolo del saggio autorevole e argomentato è dedicato. E qui Macaluso estrae l’asso dalla manica: “Io contesto la formula ‘trattativa’”. Pazienza se alcune sentenze di Cassazione, un’ordinanza di rinvio a giudizio e financo le testimonianze di Mori e De Donno, usano la formula “trattativa”. Lui ne sa una più del diavolo, infatti parte con un pippone su Colajanni, Salvemini, Giolitti, Stalin, Andreotti, Rizzotto e il bandito Giuliano per dimostrare che “in Sicilia abbiamo avuto un lungo periodo di convivenza” fra Stato e mafia. E, siccome lo Stato ha sempre trattato con la mafia, non si parla di trattativa e, soprattutto, non si processa chi la fece. Tesi davvero avvincente e foriera di ulteriori sviluppi: siccome gli omicidi e le rapine ci sono sempre stati, perché processare gli assassini e i rapinatori? Se la scoprono Ghedini e Longo, hanno già pronto l’appello alla sentenza Ruby: siccome l’uomo è cacciatore e la prostituzione è il mestiere più antico del mondo, Berlusconi è innocente.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

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