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travaglio-marco-c-firrarellodi Marco Travaglio - 22 maggio 2013
Dunque la presunta agenda rossa di Borsellino, di cui alcuni organi di stampa e di tv ci hanno riempito i timpani e non solo negli ultimi giorni, era il piccolo frammento di un parasole per auto, di quelli usati d’estate per proteggere dal sole il cruscotto e il volante ed evitare che diventino incandescenti. L’ha stabilito la Polizia Scientifica su mandato della Procura di Caltanissetta. Se non ci fosse di mezzo un probabile depistaggio per coprirne altri che durano da ventun anni, ci sarebbe da scompisciarsi. Invece, come ha detto subito Salvatore Borsellino, c’è da vomitare. Qui non si tratta di colpevolizzare il collega di Repubblica che ha avuto il filmato (girato il giorno della strage dai Vigili del fuoco e subito scartato perché irrilevante). È vero, qualche attenzione e prudenza in più non avrebbero guastato: a parte la distanza della macchia rossa dai resti di Borsellino e le sue dimensioni talmente ridotte da essere incompatibili con la grande agenda rossa più volte fotografata sulla scrivania del giudice, i testimoni di via D’Amelio raccontano che i corpi delle vittime erano ridotti a tronchi carbonizzati, senza più gli arti, e che addirittura l’onda incandescente che li aveva investiti aveva liquefatto le armi; il che rendeva fin dall’inizio assolutamente impossibile che, se Borsellino avesse avuto in mano l’agenda, questa fosse rimasta intatta con la sua copertina sgargiante. Ma, ripetiamo, non è questo il problema. Gli scandali sono altri.

1) Proprio mentre si apre il processo sulla trattativa Stato-mafia e si torna a indagare con nuove prove sulla borsa del giudice, fatta sparire dalla scena della strage dopo essere passata per le mani del giudice Ayala, del capitano Arcangioli e di almeno un altro carabiniere, qualcuno tira fuori un vecchio filmato, già scartato dalla Scientifica come inutile, ritenendolo molto utile per gettare fumo negli occhi agli inquirenti e all’opinione pubblica.
2) La macchina della sabbia politico-mediatica che da ventun anni lavora indefessamente per coprire le vergogne della Repubblica si rimette in moto e, senz’attendere gli accertamenti sul filmato, martella la controstoria negazionista di sempre: visto? L’agenda rossa era lì per terra, dunque non nella borsa, dunque nessuno l’ha fatta sparire, dunque Borsellino non aveva scoperto niente, dunque non è successo nulla, dunque le stragi sono bassa macelleria mafiosa e lo Stato non c’entra. Il Giornale, che si porta sempre avanti col lavoro, già chiedeva “le scuse al povero carabiniere Arcangioli” da parte degl’“inquirenti a caccia di fantasmi” che “non si sono accorti che l’agenda rossa era proprio davanti ai loro occhi, sotto il loro naso”. E decretava il fallimento di “due decenni di accertamenti catastrofici basati sulla convinzione mediatico-giudiziaria che qualcuno fece sparire la borsa con l’agenda rossa perché custodiva i nomi dei mandanti eccellenti e dei politici collusi, i segreti delle stragi e l’indicazione dei soggetti istituzionali responsabili dell’indimostrata ‘trattativa’ Stato-mafia. Follie. Minchiate. Quell’agenda dimenticata se l’è portata via l’azienda addetta alla pulizia della strada”. O forse, tenetevi forte, “l’Fbi” che la portò “oltreoceano”. Lontan dagli occhi, lontan da cuore (e dalla memoria). Ecco, cari depistatori: le follie e le minchiate sono solo le vostre. L’agenda rossa era nella borsa del giudice Borsellino portata via per sempre dagli uomini delle istituzioni che pullulavano sulla scena della strage, dove una cosa sola è certa: non c’erano uomini della mafia. Ma quest’ennesimo depistaggio ha anche un aspetto positivo. Fa capire a chi ancora non vuole vedere che la trattativa non è una vecchia storia da consegnare agli archivi: è bruciante attualità. Tuttoggi, maggio 2013, c’è chi fa di tutto per occultare quelle vergogne. Anche perché – basta scorrere la lista dei testimoni della Procura di Palermo – chi trattò e chi coprì siede ancora nelle istituzioni di una Repubblica che non butta mai via niente. A parte le agende e le borse dei suoi martiri.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

Foto © Samuele Firrarello

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