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micciche-gianfranco“Ricordare la mafia fa male al turismo”. Il ritorno dell'uomo del 61 a 0 in Sicilia
di Giuseppe Lo Bianco - 4 maggio 2013
Un sito di informazione titola: “Abominevole ritorno”. I commenti dei blog siciliani si scatenano tra accuse seriose e sfottò brucianti. Su twitter l’hashtag #Micciché schizza ai primi posti dei trending topic con commenti molto poco lusinghieri e persino il Corriere della Sera accoglie “con sorpresa” il ritorno al governo di Gianfranco Micciché, il sacerdote del 61 a 0 di Forza Italia in Sicilia, il “colpo grosso” che nel 2001 consacrò l’idillio tra Berlusconi e i siciliani, spezzato pochi anni dopo dallo striscione apparso allo stadio della Favorita di Palermo: “Berlusconi dimentica la Sicilia”, in cui l’ambiguità del verbo (indicativo o esortativo) riassumeva la medesima ambiguità del rapporto dell’elettorato con Forza Italia, che Ingroia (e un’accusa giudiziaria ancora sub judice) considera inquinato dal voto mafioso. Di quel partito Gianfranco Micciché fu il fondatore e il profeta, e colpisce oggi l’ambiguità cui fa ricorso Storace per commentare la sua nomina a sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alla Pubblica amministrazione e alla Semplificazione: “Sette mesi dopo averci fatto perdere in Sicilia Micciché guadagna la promozione a sottosegretario. Scelto da Alfano o Letta (Enrico)?”, è il paradosso provocatorio del leader de La Destra, affidato a un tweet.

Reduce dai numeri da prefisso telefonico delle ultime politiche con il suo Grande Sud (raggiunse lo 0,4 per cento) e abbandonato in Sicilia dai suoi fedelissimi, Micciché risorge grazie al suo inossidabile rapporto con Silvio Berlusconi, cui ha sempre manifestato, anche nei momenti di distacco, fervente devozione con qualche puntura di spillo, quando disse che lui ad escort non ci sarebbe mai andato, con evidente allusione al Cavaliere. Che non lo ha mai abbandonato, neanche quando il suo viceré scivolò per ben due volte, nel 2007 e nel 2012, nella sua gaffe più nota: “Cambiamo il nome dell’aeroporto Falcone Borsellino, ci ricorda la mafia e diamo un’immagine negativa per i turisti”.
O QUANDO alle passate Regionali la sua lista raggiunse un en plein di impresentabili. Tra loro Giuseppe Drago, ex governatore siciliano condannato a 4 anni per essersi impadronito appropriato dei fondi riservati della Presidenza, da poco uscito dal limbo dell’interdizione dai pubblici uffici, e Franco Mineo, rinviato a giudizio per usura, intestazione fittizia di beni e peculato, con l’accusa di essere stato un prestanome dei boss dell’Acquasanta Galatolo. Nessun problema per lui, per sua ammissione in radio alla Zanzara, consumatore di droghe pesanti in gioventù. Neanche quando inciampò nell’inchiesta nei confronti del suo collaboratore Alessandro Martello, accusato di portargli la cocaina la sera fin dentro il ministero dell’Economia. Micciché ha negato tutto: “È un semplice conoscente, qui è venuto solo in orario d’ufficio”. Ma ha dovuto ammettere che quell’sms di risposta un po’ volgare (“suca”), il 23 maggio 2002, al collaboratore che lo tempestava di richieste di comunicazione, era suo. E Martello, di rimando: “Aspettavo un tuo cenno carino, ed è arrivato”.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

In foto: Gianfranco Micciché

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