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gov letta giuramentodi Nicola Tranfaglia - 3 maggio 2013
Se si seguono, per lavoro o per diletto, i quotidiani europei, dal francese e molto autorevole Le Monde, al tedesco Die Tageszeitung, al danese Jylands-Posten, ancora al quotidiano economico francese Les Echos, al belga La libre Belgique, al tedesco Suddeutche Zeitung e allo spagnolo El Pais, si può cogliere una sensazione non equivoca che, nei giorni scorsi, con toni e per così dire intenzioni differenti, è stato possibile trovare con chiarezza su due quotidiani del nostro bel paese: la Repubblica di Ezio Mauro e Il Fatto Quotidiano di Antonio Padellaro.
Con differenze di tono e di accento - questo è chiaro - ma con giudizi che, nella sostanza, non sono poi così diversi.
Gran parte dei quotidiani europei - e in parte lo fanno anche Il Fatto Quotidiano e la Repubblica - prende atto di un elemento ormai evidente: se le elezioni del 24-25 febbraio 2013 hanno registrato la sorpresa del M5S di Beppe Grillo, che ha ottenuto milioni di voti non messi in conto da nessuno degli avversari, il dopo-elezioni ha segnato il ritorno di Berlusconi che - come ripete fino alla nausea il nuovo vice-capo del PDL, l'economista veneto Brunetta - è in grado di staccare la spina quando vuole al governo Letta.
Un governo imbottito dei suoi ministri, a cominciare dal vice-presidente del Consiglio e ministro dell'Interno (con il controllo dei servizi segreti, se si seguisse la prassi seguita nel settantennio repubblicano) Angelino Alfano e a finire con Gaetano Quagliariello, ammiratore storico di Charles De Gaulle.

Ho seguito con attenzione di osservatore e sostenitore da sempre della coalizione di centro-sinistra la formazione del nuovo governo, voluto prima di tutto dal presidente Napolitano e poi dagli stati maggiori dei due maggiori partiti italiani, e ho letto l'ambizioso programma che il presidente del Consiglio ha letto in parlamento ed è andato a spiegare nelle capitali straniere.
Il giudizio che mi viene spontaneo: ci vorranno alcuni anni, forse più di una legislatura per realizzarlo, sia perchè la crisi economica non è stata ancora superata e non sappiamo quando sarà alle nostre spalle, sia perchè gli interessi da battere o da conciliare saranno tutt'altro che fragili o deboli.
E c'è da chiedersi se il convitato di pietra che sorveglia il traffico, l'uomo di Arcore, interverrà quando saranno realizzate le riforme più importanti e significative o staccherà la spina appena sarà convinto che un nuovo scontro elettorale potrà esser vinto dal centro-destra di cui resta ancora il capo indiscusso.
Non è facile rispondere a un simile interrogativo per due ragioni essenziali. La prima è che il Partito democratico attraversa una crisi molto grave che non potrà essere risolta in pochi giorni o settimane o attraverso un congresso straordinario come quello che si prevede nel prossimo giugno. Le posizioni interne sono particolarmente divaricate e le scelte del leader tutt'altro che scontate.
La seconda è che nel PD manca ormai una posizione chiaramente di sinistra, o meglio si incarna nella posizione personale di Barca che sa di non poter rappresentare la maggioranza del partito, e c'è quindi il rischio oggi come oggi di un tentativo di compromesso e di mediazione che non è facile da realizzare. Insomma, Berlusconi si troverebbe nelle prossime elezioni di fronte a un avversario attraversato da forti dissidi interni.
Di qui il vantaggio del leader populista e il pericolo costituito dal suo potere di staccare la spina. Mi auguro che il centro-sinistra, ovvero le forze che si oppongono al populismo berlusconiano, abbiano chiare le difficoltà attuali e sappiano come operare.

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